Italiano ginnasio: IL PUZZLE (esercizio sulla struttura di un testo)

Premessa: uno dei problemi più rilevanti, in IV ginnasiale, è quello di riuscire a insegnare come strutturare un testo (di natura argomentativa o di analisi : il classico “tema”. insomma). Spesso gli adolescenti scrivono tutto ciò che viene loro in mente senza seguire un ordine preciso, in maniera “casuale”, in modo tale da creare quello che io chiamo “l’effetto elenco”, un’affermazione dopo l’altra (poi c’è …). Questo esercizio ha lo scopo di intervenire su quella che la retorica antica chiamava “dispositio” : dati già da me i contenuti (eliminato, quindi, per il momento, il grosso problema della “inventio” ), ma in modo frammentario e caotico, bisogna disporli in modo tale da ottenere un testo logicamente ordinato e coerente, inserendo, infine, gli opportuni connettivi per dare coesione al discorso. Importante: il testo del puzzle deve essere stampato su una sola facciata di ciascun foglio, in modo tale che sia possibile ritagliare i vari “pezzi”.

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La percezione del tempo e dello spazio ne I Malavoglia

La nozione di tempo, nel senso in cui oggi viene comunemente intesa, è estranea all’orizzonte mentale dell’anonima voce popolare cui Verga affida il racconto delle vicende dei Malavoglia. Questa voce narrante è espressione di un mondo “primitivo” che ha del tempo una percezione elementare e indefinita, fondata sui ritmi naturali del giorno e della notte, e sull’alternarsi delle stagioni, che si ripetono sempre uguali a se stesse: una dimensione, in un certo senso, atemporale e immobile, che possiamo definire il tempo della tradizione (da che mondo è mondo, sempre… sempre), tale però da suggerire precise norme comportamentali (il rispetto dei valori dell’antica società rurale patriarcale) alle quali adeguarsi. Il divenire storico, il presente, è visto come decadenza e involuzione rispetto a un passato mitizzato e idealizzato (Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi sulla strada vecchia di Trezza… Adesso non rimanevano che i Malavoglia di padron ‘Ntoni… Ora che i cristiani avevano imparato a mangiare carne il venerdì come tanti turchi… Ai miei tempi non c’erano tanti lampioni, né tante scuole… e si stava meglio… La ferrovia da una parte e i vapori dall’altra. A Trezza non si può più vivere, in fede mia!)
È l’orizzonte temporale in cui affonda le sue radici la sapienza popolare, espressa nei proverbi (Il mare è amaro, e il marinaio muore in mare… Il tempo si porta via le cose brutte come le cose buone… Un tempo si diceva: ”Ascolta i vecchi e non sbagli”). La deroga da questa saggezza tradizionale conduce al fallimento e alla rovina. Tutta la vicenda dei Malavoglia è proprio un tentativo di sfuggire a questo “destino immutabile”, tentativo che si conclude con la sconfitta (Chi lascia la via vecchia per la nuova…) di tutti coloro che cercano di sottrarsi alla loro condizione. Si salvano solo Alessi e Nunziata, perché ricostituiscono la situazione originaria, tornano, cioè, alla situazione di partenza.
Affine e strettamente connesso a quello della tradizione è il tempo della consuetudine, di tutto ciò che si ripete abitualmente, come i gesti umani (il sabato poi, quando arrivava il giornale… don Franco spingevasi sino ad accendere mezz’ora, ed anche un’ora di candela… Fra poco lo zio Santoro aprirà la porta e si accoccolerà sull’uscio a cominciare la sua giornata…) e i fenomeni atmosferici legati alle stagioni o alle ore del giorno e della notte (Quando era maltempo, o che soffiava il maestrale… Sull’imbrunire, come la Provvidenza tornava a casa…)
Il trapasso al tempo del racconto, che indica di solito un peggioramento della situazione, è costituito da avverbi quali “adesso… ora… finalmente… intanto…” o da locuzioni temporali (Adesso a Trezza non rimanevano che i Malavoglia di padron ‘Ntoni… il giorno dopo… finalmente arrivò da Napoli la prima lettera… dopo un po’ di tempo… Intanto l’annata era scarsa… una volta… una sera…).
Il tempo del racconto è quello percepito da una comunità “primitiva”, privo di riferimenti cronologici precisi come li intendiamo noi oggi (l’anno è indicato solo in quanto legato a eventi memorabili, come ad esempio l’anno del terremoto).
Un tempo scandito:
 dai ritmi naturali del giorno e della notte o dalle consuetudini e dalle feste religiose (un’ora di notte… era suonata da poco l’Ave Maria…);
 dall’alternarsi delle stagioni (la sera scese triste e fredda… era una bella sera di primavera… la Pasqua era vicina… i Morti non sono ancora venuti… Bastianazzo è morto in un giorno segnalato, la vigilia dei Dolori di Maria Vergine, l’affare dei lupini viene concluso in occasione della festa della Madonna dell’Ognina, le colline erano tornate a vestirsi di verde…);
 dalla posizione degli astri nel cielo (… la stella della sera era già bella e lucente… il Tre Bastoni era ancora verso l’Ognina colle gambe in aria, la Puddara luccicava dall’altra parte, cioè, rispettivamente, Venere, la costellazione di Orione – chiamata anche “I Tre Re” – e le Pleiadi: astri tipici del cielo invernale);
 dai mesi e dai giorni della settimana (una brutta domenica di settembre… la prima domenica di settembre…).
Anche le trasformazioni del mondo vegetale determinate dal mutare delle stagioni concorrono alla determinazione del tempo, ma non senza vistose inesattezze, che rivelano la scarsa familiarità dello scrittore – il quale viveva abitualmente a Milano – con la natura e la flora della sua terra d’origine, o il suo totale disinteresse per questi aspetti del racconto . L’unica data precisa – il dicembre del 1863 – è quella che dà inizio alla vicenda dei Malavoglia: la chiamata alla leva militare di ‘Ntoni, ed è un’indicazione cronologica che si riferisce ad un tempo diverso, estraneo alla mentalità del borgo, cioè quello che possiamo definire il tempo della storia, che ha fatto irruzione nell’arcaico, immobile mondo del borgo marinaro con l’unità d’Italia. Ma la storia dei grandi eventi politici e militari è affare degli altri che abitano “fuori regno”, “lontano”, ed è percepita dai pescatori di Trezza solo nei suoi effetti negativi: l’obbligo della leva, che sottrae alle famiglie per periodi lunghissimi le braccia più valide (Per cinque anni bisogna fare come se vostro figlio fosse morto), il dazio sulla pece, che scatena una mezza rivolta in paese, la guerra contro un nemico di cui nessuno conosce nemmeno il nome, che costa la vita al giovane Luca (battaglia di Lissa, 20 luglio 1866), l’epidemia di colera del 1867 di cui resta vittima Maruzza la Longa. Ma queste date non vengono mai citate esplicitamente, anzi restano avvolte in un alone vago e indeterminato (quando i Malavoglia apprendono ufficialmente, alla capitaneria del porto di Catania, la notizia della morte di Luca sono trascorsi “più di quaranta giorni”). Se vogliamo ricostruire la cronologia della storia dei Malavoglia, possiamo fare affidamento su questi pochi “punti fermi”, e infine –soprattutto -, su un’altra indicazione: l’anno di nascita di Mena, e di Barbara la Zuppidda, che è sua coetanea, cioè l’anno del terremoto. In verità di terremoti, più o meno catastrofici, è costellata l’intera storia della Sicilia. Quello più congruo alla vicenda del romanzo, memorabile per i suoi effetti distruttivi, non può che essere il terremoto dell’11 gennaio del 1848. Nella primavera di quello stesso anno, presumibilmente verso la fine di maggio o l’inizio di giugno, nasce Mena. La sua età costituisce il punto di riferimento cronologico più significativo e costante per la ricostruzione della vicenda dei Malavoglia. All’inizio, quando ‘Ntoni parte per la leva – presumibilmente, nei primi mesi del 1864 – la ragazza sta per entrare nel diciassettesimo anno (come osserva padron ‘Ntoni), cioè sta per compiere sedici anni. L’anno successivo, il 14 settembre (vigilia dell’Addolorata) del 1865, avviene il naufragio della Provvidenza. Che si tratti del 1865 si può dedurre dagli indizi disseminati nel seguito del romanzo. Nel capitolo VIII (era passato del tempo, e il tempo si porta via le cose brutte come le cose buone…) si parla del fidanzamento di Mena, che ha da poco compiuto i diciotto anni, il giorno dell’Ascensione (festa che si celebra quaranta giorni dopo la Pasqua, quindi in un periodo compreso tra la fine di maggio e l’inizio di giugno). Nello stesso giorno si sparge la voce della grande battaglia combattuta “lontano”, nella quale, come si saprà in seguito, ha perso la vita il giovane Luca (battaglia che Verga, con notevole disinvoltura, anticipa di un paio di mesi: in realtà essa fu combattuta il 20 luglio di quell’anno). Nel successivo 1867, “l’anno del colera”, muore Maruzza la Longa e il giovane ‘Ntoni, sempre più insofferente della dura vita del pescatore, parte per cercare fortuna, e poi ritorna, non sappiamo quanto tempo dopo. Nei capitoli successivi, in cui il protagonista diventa ‘Ntoni, i riferimenti temporali scarseggiano. In questo lasso di tempo si verifica il secondo naufragio della Provvidenza, in un anno imprecisato (anche in questo caso notiamo qualche incoerenza dovuta probabilmente al fatto che questo episodio fu pubblicato a parte, nel 1881, come racconto autonomo, con il titolo di “Poveri pescatori”, prima di essere inserito nel romanzo), il “traviamento” di ‘Ntoni, il suo coinvolgimento nel contrabbando, lo scontro e il ferimento di don Michele, l’arresto e la condanna a cinque anni di carcere, la fuga di Lia. Un’ulteriore, ultima indicazione cronologica ci riporta al 1974: Mena, che ha ventisei anni, “non è più da sposare” e rifiuta la proposta di matrimonio di Alfio Mosca. Negli anni successivi (imprecisati) muore padron ‘Ntoni, Alessi riscatta la casa del nespolo e sposa la Nunziata. ‘Ntoni ritorna per dare l’addio definitivo a ciò che resta della sua famiglia, e al paese natio. Possiamo ipotizzare, come data approssimativa, il 1877 o il 1878: la vicenda dei Malavoglia, insomma, si snoda all’incirca per un arco temporale di circa quindici anni. Fin qui la ricostruzione dei fatti, fondata su pochi dati certi e alcuni indizi interni.
Ma per quanto riguarda le indicazioni temporali e topografiche, come si è già detto, si possono notare nei Malavoglia “errori” vistosi , a volte probabilmente motivati da precise scelte artistiche dell’autore (a volte per essere fedeli al vero bisogna “inventare” la realtà), a volte francamente gratuiti e incomprensibili.
Prima di tutti, Il Capo dei Mulini. La Provvidenza salpa dal porticciolo di Aci Trezza il 14 settembre, a un’ora di notte, dopo l’Ave Maria (cioè, verso le 19), e padron ‘Ntoni si augura che possa oltrepassare il Capo prima di mezzanotte. Cinque ore di traversata con una barca a vela, e due uomini robusti ai remi per coprire una distanza inferiore a un miglio! In realtà, posso affermare, per esperienza personale, che dal porticciolo di Trezza si può raggiungere Capomulini e addirittura oltrepassarla, anche con un piccolo canotto a remi, in poco più di un’ora, un’ora e mezza se la corrente è contraria. Viceversa, il secondo naufragio della Provvidenza si verifica all’altezza di Agnone (Bagni), davanti allo Scoglio dei Colombi, sopra il quale si trova la guardiola degli esattori del dazio. Padron ‘Ntoni, ferito, può essere riportato a casa su una barella improvvisata in meno di un’ora. Nella realtà, Agnone Bagni dista da Aci Trezza più di quaranta km, ed è una lunga spiaggia sabbiosa; lo Scoglio dei Colombi si trova a Santa Maria la Scala, sotto la timpa di Acireale, dove avrebbe senso immaginare una guardiola di doganieri sulla costa rocciosa, al di sopra dello scoglio. Una simile guardiola esiste infatti, però è ubicata da tutt’altra parte, sulla statale 114, a Pantano d’Arci, a sud di Catania (zona industriale, a circa diciotto Km da Aci Trezza): si tratta di un piccolo edificio a pianta circolare (l’ex “casello del dazio”) oggi utilizzato come bar, ben visibile e noto a chi si dirige verso la città, o se ne allontana in direzione di Siracusa . Lo scrittore ha fuso insieme quattro luoghi che avevano colpito la sua immaginazione, modificando la realtà per adeguarla ai suoi fini artistici. Ma, curiosamente, lo Scoglio dei Colombi ricompare, nelle immediate vicinanze del paese, nell’episodio del contrabbando. ‘Ntoni e i suoi complici sono acquattati nella sciara, al Rotolo (che nei Malavoglia sovrasta Aci Trezza, mentre nella realtà è una contrada nei pressi di Ognina, a qualche Km di distanza) aspettando che arrivi la barca dei contrabbandieri con la merce. Data l’oscurità fittissima, il giovane teme che l’imbarcazione trovi difficoltà ad approdare proprio sullo scoglio citato. Nel corso dello scontro con le guardie vengono esplosi dei colpi di fucile, chiaramente uditi dagli abitanti di Trezza (e quindi vicinissimi). Ma evidentemente il realismo nella descrizione dei luoghi è l’ultima delle preoccupazioni dello scrittore. O forse è il suo “punto di vista” a determinare l’errata percezione dei luoghi e delle distanze: come se lo scrittore, che aveva visitato Aci Trezza, ma viveva abitualmente a Milano, e, quando tornava in Sicilia, soggiornava a Vizzini, avesse un ricordo “deformato” dei luoghi, percependo come “più vicini” quelli ubicati a sud di Catania, e “più lontani” quelli ubicati a nord, accorciando le distanze tra Agnone e Trezza, e dilatando a dismisura quelle tra Trezza e Capomulini. Anche il mare verde come l’erba suggerisce un punto d’osservazione “dall’interno”, o almeno distante dalla costa acese. Perché il mare di Aci Trezza – e dei paesi vicini – non è mai verde, data la natura dei suoi fondali e dei suoi scogli basaltici: è proprio blu, di un intenso blu zaffiro che può diventare grigio plumbeo quando il cielo è nuvoloso, o assumere i più svariati colori del cielo all’alba o al tramonto, ma non il verde.
Si ha la netta sensazione che Verga, nell’ambientazione del suo romanzo, si fondi più sui suoi ricordi che su una conoscenza puntuale dei luoghi. O forse il suo “sguardo soggettivo” su di essi (per cui considera “vicino” quello che gli è familiare o a cui è affettivamente legato, “lontano” quello che è estraneo o meno abituale alla sua esperienza) è il risultato del suo sforzo di immedesimazione nel “punto di vista” dei suoi personaggi “primitivi”, per i quali le nozioni di vicinanza e lontananza sono labili e soggettive.
Il loro piccolo mondo è costituito da Aci Trezza, il cui cuore pulsante è la piazza, con la chiesa, sui cui gradini ci si siede a chiacchierare, e il muricciolo del campanile, e il vecchio olmo, e gli ulivi, e le botteghe che si affacciano sulla piazza: l’osteria della Santuzza, la spezieria, la bottega del barbiere (il Pizzuto) e quella del beccaio con la sua tettoia che offre riparo dalla pioggia e dal sole cocente. Tutt’intorno, disposte a semicerchio, le povere case dei pescatori (tra le quali la casa del nespolo) separate da strette viuzze (come la via del Nero). Sotto la spianata della piazza (che non è pavimentata, bensì a “fondo naturale”), sul greto, dove sono ammarrate le barche davanti al porticciolo, si trova la fontana, e, più avanti – dove ora c’è la Capitaneria di Porto – i lavatoi. Davanti, il mare, presenza costante e quasi umana con i “fariglioni”. Tutt’attorno al paese, piccoli poderi coltivati (viti, ulivi, fichidindia) strappati a fatica al dominio della sciara selvaggia, fiorita di ginestre e coperta di macchia mediterranea che caratterizza la collina (che, nella topografia verghiana, è il Rotolo). La sciara si estende fino al mare, in quel breve tratto che separa Aci Trezza dalla vicina Aci Castello, di cui Trezza è sempre stata, ed è tuttora, frazione. Ma Verga ne fa due comuni autonomi . Qui, presumibilmente (altrimenti gli spari non si sentirebbero in paese) va collocato l’episodio del contrabbando e il “vagabondo” Scoglio dei Colombi. Oltre Aci Castello, è “vicina” l’Ognina (che dista 7,5 km da Aci Trezza), frequentata spesso dai personaggi del romanzo, e – erroneamente – Pantano d’Arci e Agnone Bagni (come si è precedentemente detto). Dalla parte opposta, a nord, è “relativamente vicina” Capomulini (per raggiungere la quale nei Malavoglia occorrono diverse ore di navigazione, ma in realtà distante tre quarti di miglio via mare, e un paio di km via terra). Relativamente vicina è Riposto, dove si può andare e da dove si può tornare con la barca in una settimana (poco più di 26 km); così pure Aci Catena, dove Alfio Mosca va a rifornirsi di vino da vendere alla Santuzza (ma Aci Catena, che è distante circa 7 km non è mai stata, nemmeno nell’Ottocento, rinomata per il vino, bensì per i suoi limoneti); così come Aci Sant’Antonio (9 Km), citata a proposito della vecchietta sorpresa e uccisa in casa dai malviventi perché aveva aperto la porta al gatto; così come Trecastagni (circa 15 km) nominata – indirettamente – per la fiera dei bovini che si teneva il giorno di S. Alfio. Come si può notare, i luoghi considerati più o meno vicini si trovano a una distanza massima di 15 km, con le eccezioni significative di Riposto (perché frequentata dai pescatori) e di Pantano d’Arci e Agnone (per una scelta “artistica” di Verga). Sono invece lontane, perché estranee al mondo dei Trezzoti, Catania, la città caotica, anzi “la città” per eccellenza, in cui è facile perdersi, in senso metaforico (Lia) e reale (padron ‘Ntoni) , che nella realtà non dista più di 10 – 11 km, e, ancor più, La Piana e Bicocca (15 – 16 km circa) dove Alfio Mosca va a lavorare in occasione dell’allestimento dello scalo ferroviario. Lontane, ma ancora entro i confini del mondo dei Malavoglia, si trovano anche Siracusa (79 km circa) e Messina (91 km), in quanto città portuali.
Sono invece “fuori regno” Roma (796 km), citata solo incidentalmente, e Napoli (588 km), dove il giovane ‘Ntoni va a prestare il servizio di leva: città grande “più di Trezza e Aci Castello messe insieme” è considerata un po’ il paese della cuccagna, dove le donne vanno a passeggiare in abiti di seta, e la gente va in carrozza, e c’è il teatro di Pulcinella, e si vende la pizza …
Ai “confini” del mondo dei Malavoglia – che è costituito da città di mare – si trovano a nord Trieste, sempre, comunque, città portuale (1.443 km circa), e il luogo remoto di cui nessuno conosce il nome, dove si è combattuta una grande battaglia contro nemici sconosciuti (l’isoletta croata di Lissa, 1350 km); a sud est un’altra grande città portuale, Alessandria d’Egitto (oltre i tremila km), che sembra rappresentare, per la gente del borgo, l’estremo limite del mondo conosciuto . Al di là, dove “finisce il mare”, c’è l’ignoto, o il nulla. O il “regno in capo al mondo” delle fiabe, un “altrove” meraviglioso alternativo al mondo reale, e dal quale non si torna più. Come da quell’altro viaggio “più lontano di Trieste e di Alessandria d’Egitto”, che ha come approdo definitivo una nicchia sotto il marmo liscio della chiesa.
Mariangela Agnone

Questionari sui singoli capitoli dei Promessi Sposi

I PROMESSI SPOSI Questionari sui singoli capitoli
Capitolo I
1) Il tempo: individua scene, sommari, digressioni, ricorso al flash – back ecc.
2) Lo spazio: delimita lo spazio geografico in cui si svolgono le vicende del romanzo. Qual è il ruolo del paesaggio? Puro scenario decorativo? Elemento fondamentale del racconto ? C’è relazione tra paesaggio e stati d’animo dei personaggi? Noti nelle descrizioni del paesaggio elementi che hanno valori di simbolo, riferimenti a temi dominanti ecc.? Analizza la celeberrima descrizione iniziale: lo stile è elevato o umile? Che linguaggio, che tipo di lessico usa il Manzoni? (rispondi citando gli esempi opportuni) Si tratta di una prosa poetica o di tipo quotidiano e discorsivo? Vi puoi individuare frasi che hanno il ritmo di versi? Se sì, quali? Vi noti delle figure retoriche? Nella parte iniziale (da “Quel ramo del lago di Como” a “ in nuovi golfi e in nuovi seni” notiamo, a livello sintattico, due blocchi compatti – principale + varie subordinate – che sembrano fronteggiarsi, collegati tra loro da una parola che funge da trait d’union.Qual è questa parola? Lo spazio in cui è ambientata la sequenza iniziale del romanzo è, indubbiamente, un incantevole squarcio di paesaggio montano. In questo ambiente idilliaco tutto è sereno e felice? Gli abitanti di questi luoghi bellissimi vivono in armonia tra loro e con la natura (come sosteneva Rousseau)? O si insinua, anche in questo paradiso terrestre, l’ombra del male? Ritieni che Manzoni condivida il pensiero di Rousseu? Che cosa rappresenta per don Abbondio la sua casa? Per descriverla Manzoni usa lo stesso registro linguistico dell’inizio del capitolo? La descrive con la stessa minuziosa precisione o si limita a suggerircene alcune caratteristiche?
3) Individua i temi dominanti presenti nel I capitolo
4) Qual è, a tuo parere, il ruolo della lunga digressione storica sulle gride, che interrompe l’episodio dell’incontro di don Abbondio e i bravi?
5) Analizza il dialogo di don Abbondio con i bravi, esaminandone il lessico, la sintassi, lo stile, le figure retoriche adoperate. Il registro linguistico ti sembra alto o basso? Come motivi la tua valutazione?
Idem con il dialogo tra don Abbondio e Perpetua.
6) Punto di vista e tecniche narrative. Manzoni è un narratore esterno (extradiegetico) o interno (intradiegetico) al racconto? Rileggi il I capitolo segnando sul testo, a matita, i discorsi diretti, quelli indiretti, gli indiretti liberi, i monologhi interiori. Noti un solo punto di vista (quello del Narratore) o diversi? In questo caso, quali? Immagina di essere un regista e di avere con la telecamera: se dovessi fare un film, quali inquadrature sceglieresti per riprendere il paesaggio iniziale, la passeggiata di don Abbondio e l’incontro con i bravi? Useresti un solo tipo di inquadratura fissa, dall’alto – come fa a volte Hitchcock – o ne adotteresti più di una, riprendendo alcune scene come se fossero viste attraverso gli occhi di uno o più personaggi?
7) Analizza i personaggi don Abbondio e Perpetua, prendendo in considerazione i loro tratti fisici e psichici, le loro azioni, il loro linguaggio (il che serve, tra l’altro, a definire la loro estrazione sociale), le figure retoriche da loro adoperate o a loro associate.
8) Brulichio /brulicare, ronzio /ronzare : dove e quando ricorrono questi termini?
9) Cerca i nomi alterati individuandone la funzione.

Schema della I sequenza dei PROMESSI SPOSI (capp.1 – 8)

Cap. I SCHEMA (temi dominanti e cose notevoli)

Paesaggio (Antitesi natura – società.Rousseau. Contro il Seicento egli Spagnoli. La “modestia” insegnata alle fanciulle ecc. Cfr. paesaggio cap. IV e cap. VIII )
La passeggiata di don Abbondio
L’incontro con i bravi
Le gride contro i bravi
“Questo matrimonio non s’ha da fare”
Storia di don Abbondio
Ritorno di don Abbondio a casa sua
Perpetua
Temi dominanti e cose notevoli
Antitesi natura – società. Rousseau. Il Seicento e la dominazione spagnola. La “modestia” insegnata alle fanciulle e le “carezze” sulle spalle di padri e mariti. Cfr paesaggio cap. Iv e fine VIII
Cfr. Passeggiata di fra Cristoforo
La violenza dei potenti. Il Seicento e gli Spagnoli. Impotenza delle leggi. La giustizia.Scrupolosa documentazione storica.
La società del Seicento. Don Abbondio “vaso di coccio”e la religione come rifugio. La casa – rifugio
Il buon senso popolare

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Analisi del testo: I Promessi Sposi – Il metodo

Quando, trentadue anni fa, alla mia prima esperienza di docente ginnasiale, mi ritrovai alle prese con il capolavoro manzoniano, mi chiesi perplessa: “Che ne devo fare?” Leggerne i “passi belli” ‘ o peggio, quelli “edificanti” – come era toccato a me quando ero  studentessa quindicenne in una scuola gestita da suore- era fuori questione. Non sono crociana, come lo erano i miei professori. L’idea, poi, di considerarlo un testo “religioso” mi sembrava aberrante ( idea, peraltro, non del tutto tramontata: ancora oggi mi capita di sentire colleghi laici che detestano “I promessi sposi”per motivi ideologici e lo sostituiscono con altri classici, e, viceversa, colleghi credenti che lo giudicano “insostituibile”, ma -ahimè – non per i suoi pregi storico – letterari.). Al romanzo manzoniano  non avevo dedicato particolare attenzione fino a quel momento, né all’università, né dopo. Per prima cosa, ripresi in mano il testo. Lessi e rilessi (5 – 6 volte ciascun capitolo). Per fortuna avevo molto tempo a disposizione: viaggiavo ogni giorno per Caltagirone, su uno scalcinato autobus noleggiato da noi professori. Due ore e più, ogni giorno, di letture manzoniane. Era stata da poco pubblicata la collana de “Il materiale e l’immaginario” che, nel volume riservato all’Ottocento, ha un intero fascicolo dedicato all’analisi del romanzo manzoniano. Devo senz’altro al Prof. Ceserani e ai suoi collaboratori la mia “scoperta” di Manzoni (e, negli anni successivi, al Prof. Mineo,che venne, diverse volte, nelle mie classi a parlare di Manzoni ai miei alunni). Ma restava il problema principale: come presentare un testo così complesso a ragazzini di quindici anni? L’analisi formale non era un problema: tutti i testi scolastici erano – e sono – pieni di indicazioni in tal senso. Il problema era la comprensione della problematica, del  significato dell’opera, in mancanza di adeguate conoscenze, da parte degli studenti, del contesto storico – culturale in cui essa fu composta. Avrei dovuto premettere alla lettura diretta lunghe e complicate lezioni teoriche? Parlare di illuminismo, romanticismo, delusione storica ecc.?  Avrei dovuto inserire Manzoni nel contesto del romanticismo italiano ed europeo? Ma per i ragazzini che escono dalle Medie Il romanticismo è la riscossa del sentimento – del “cuore”- contro la ragione degli illuministi. Poveri Renzo e Lucia! La loro vicenda avrebbe rischiato di essere confusa con un romanzo rosa o con una telenovela. Qualche alunno più attento avrebbe potuto  - a ragione – obiettarmi: “Ma dove sta, nei Promessi Sposi, il trionfo del sentimento? Mai una scena d’amore, niente sesso, nemmeno un bacio …”. Alla fine ho  elaborato un mio metodo. Per il quale,  se io volessi indicare un “padre nobile”  dovrei citare, con un po’ di imbarazzo – per la disinvoltura con cui mi permetto di utilizzarla, l’ Antropologia Strutturale di Lévi- Strauss (v. analisi del mito di Edipo); e poi, in un ambito del tutto diverso,” L’anello del Nibelungo” di Wagner (per la ricerca dei “temi dominanti”, cioè delle frasi musicali ricorrenti che evocano una situazione, un personaggio, un luogo ecc.).In breve: in un quadernone, esclusivamente riservato all’analisi del capolavoro manzoniano, ho enunciato, in una sorta di “colonna”, a sinistra di ciascun foglio, in forma molto sintetica, -anche in stile nominale – il contenuto di ciascun capitolo del romanzo, cominciando dall’Introduzione (allo stesso modo dei “mitemi” che costituiscono la storia di Edipo – Il buon Lévi- Strauss si rivolterà nella tomba -) A destra, in un’altra “colonna” più stretta, in colore contrastante,ho annotato tutte le “cose notevoli”, i temi dominanti, i rimandi ad altri passi, i confronti con altri autori ecc.(Qui, dato che non sono così esperta nell’uso del computer da riuscire a scrivere su colonne diverse, annoto le “cose notevoli e i temi dominanti tra parentesi, accanto alle unità narrative). Date le dimensioni dell’opera, non potevo, ovviamente, inserire tutte le unità narrative in una tabella, in cui sarebbe stato agevole leggere il testo in modo diacronico e sincronico insieme. Ma  anche da una lettura esclusivamente “orizzontale” è stato possibile cogliere le costanti, i temi ricorrenti ecc. Ma forse, la definizione più pertinente del mio metodo  - anche se assai poco “culturale” – è quella di   “metodo del limone” : anziché premettere alla lettura complicate lezioni storico -letterarie “teoriche” -poco recepibili da preadolescenti – ho preferito fare l’opposto: trattare il romanzo come un limone da spremere per ricavarne tutte le informazioni necessarie alla comprensione dell’ autore, del periodo in cui visse ecc. Leggere, rileggere, e poi rileggere ancora – tutto, parola per parola, rigorosamente in classe,dall’Introduzione al cap. 38° – per impadronirsi del testo, per penetrarvi e per scoprire, attraverso di esso, tutto un mondo di cui nessuna lezione storico – letteraria, per quanto esauriente, potrebbe mai dare un’idea adeguata: questa è la mia “ricetta”. Altro che le formulette banali di certi manuali! Per scoprire Manzoni è inutile leggere tonnellate di saggi critici, ammattire dietro le dispute letterarie, trincerarsi dietro i luoghi comuni… per scoprire Manzoni  bisogna leggere Manzoni. Ed è una grande sorpresa. Le opinioni tradizionali più consolidate si dissolvono : perché Manzoni è uno degli autori più problematici e complessi della nostra storia letteraria. (Che idea, mi sono detta, propinarlo a dei ragazzini quindicenni! Si rischia di presentarlo in modo sbagliato e superficiale, con il rischio di farlo odiare e di far detestare, tout court, la lettura! Se toccasse a me decidere, lo sconsiglierei  a chi ha meno di 40 anni! Ma, visto che devo, farò di tutto perché anche i miei giovanissimi alunni lo capiscano). C’è poi un’altra considerazione da fare: nell’intero quinquennio del liceo classico non c’è un’altra occasione per la lettura integrale di un classico. Al triennio il tempo è scarso, e il programma immenso. Né è possibile privilegiare un autore ottocentesco rispetto a quelli più recenti (troppo rischioso per chi deve affrontare gli esami di maturità). Il ginnasio è l’unico momento possibile per insegnare agli alunni un metodo di lettura e di analisi di un testo. E che tipo di testo! Per le tematiche in esso affrontate,  e il contesto in cui vide la luce, i Promessi Sposi è fondamentale, perché si colloca idealmente tra Settecento e Ottocento, in un momento cruciale che segna l’inizio dell’età moderna. E allora decisi di imperniare sui Promessi Sposi il mio insegnamento dell’italiano.

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