Presentazione del recital su “I Greci e le donne”

Presentazione del recital su “ I Greci e le donne “

 

Il presente lavoro ha origini scolastiche: era destinato ad una terza liceale    impegnata nella traduzione e nella messa in scena di una tra le più sconvolgenti tragedie di Euripide: Le Troiane. Il dramma  – che ha come protagoniste assolute le donne della città vinta- solo apparentemente riguarda un famoso episodio leggendario, la conquista di Troia da parte degli Achei. In realtà esso è un implacabile  e crudo atto d’accusa contro la guerra, le cui vittime sono, in primo luogo, le donne, i bambini, gli anziani. I “valori” tipici della mentalità militare, il coraggio, l’audacia guerriera, ecc. vengono smascherati e mostrati in tutta la loro ripugnante  e disumana realtà ( la violenza contro le prigioniere, l’assassinio di un bimbo  perché, crescendo,potrebbe diventare un temibile nemico come suo padre).                                                                  Nel   415 a. C., quando Euripide compose questa tragedia, gli Ateniesi,  suoi concittadini, erano impegnati in una sanguinosa e interminabile guerra contro  Sparta (27 anni!), guerra estenuante e non esente da atrocità (come il massacro degli abitanti di Melos, verificatosi poco tempo prima). Il poeta si rivolge al suo pubblico come  coscienza critica della società del tempo. E non solo per quanto riguarda la guerra: al centro della sua opera è il problema della condizione femminile. Perché la guerra non è che l’occasione straordinaria  che mette il luce la profonda ingiustizia su cui è fondato, nell’ antica Grecia, il rapporto tra i sessi. Ma che accade – che accadeva allora – nella vita quotidiana, dentro e fuori delle mura domestiche? E quando ebbe origine questa diffidenza nei confronti delle donne – diffidenza che caratterizzava il mondo classico e che ha profondamente influenzato anche la mentalità e la cultura dei moderni?

Ecco, allora, le ragioni di questo lungo excursus nella letteratura greca, da Esiodo (VII  secolo a. C.) ai grandi autori del dramma attico del V secolo: da Pandora, la prima donna, che, come la biblica Eva, è considerata dal poeta Esiodo l’origine di tutti i mali che affliggono l’umanità, alla violenta invettiva contro tutto il genere femminile pronunciata da Ippolito (nell’omonima tragedia euripidea), e alla “replica” appassionata di Medea, che è la più lucida analisi della condizione femminile che l’antichità ci abbia tramandato. La pesante discriminazione sociale , l’emarginazione, la “irrilevanza” delle donne nel mondo greco sono l’origine di drammi tremendi  e di comportamenti devianti (Medea uccide i propri figli, Fedra attua un’atroce vendetta contro il figliastro Ippolito che ha disprezzato il suo amore); ma non solo: anche quando sono animate dalle  migliori intenzioni, come Deianira, le donne provocano disastri involontari. Ma sono esse le uniche responsabili? Non  è piuttosto una società profondamente ingiusta a spingerle a gesti estremi o a indurle a cercare rimedi  che poi si riveleranno catastrofici? Di fronte alla spietata crudeltà di un mondo maschile retto dalla logica del potere politico o militare, quale mezzo di difesa hanno le donne? Nessuno, se prendiamo in considerazione la letteratura classica. Possono ribellarsi, come Antigone, alle ingiuste leggi del  tiranno Creonte, o minacciare invano e poi tramare vendetta, come Clitemestra, che, dopo una lunga serie di soprusi tollerati in silenzio, si vede strappare dalle braccia la figlia che deve essere sacrificata agli dei perché la flotta achea possa avere una fausta partenza per l’impresa di Troia. In ogni caso, il prezzo della rivolta sarà la vita. Oppure possono accettare con dignità e coraggio il proprio destino, e andargli incontro dopo avere rivelato i misteri del passato e del futuro, grazie ad una sapienza che è molto lontana e diversa da quella degli uomini, perché di origine divina (è il caso di Cassandra), o di Ifigenia, che accetta di essere uccisa e offerta in sacrificio per mano di suo padre perché è proprio questo che ci si aspetta da lei : per esistere, per contare, per avere l’affetto del proprio genitore e rispondere alle sue aspettative non le resta che l’autodistruzione.

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