Terza lezione U.P.G.C. 2011 Osservazioni sulla mitologia greca

 

Osservazioni sulla mitologia greca

 

Da quanto si è detto finora, il mito può essere così definito:

-          una storia straordinaria, che si è verificata in un lontano passato, e che ha come protagonisti dei ed eroi;

-           una narrazione che ha come caratteristica fondamentale la polisemia: lo stesso mito, cioè, assume un significato  diverso in contesti storico- culturali differenti;

-          uno strumento logico che serve a decifrare la realtà più profonda, dato il carattere paradigmatico (cioè esemplare) della vicenda narrata e dei suoi protagonisti;

-          un veicolo di diffusione di ideologie, valori, comportamenti  ritenuti  fondamentali e socialmente approvabili in una data cultura;

-          un racconto sulle origini.

La maggior parte dei miti greci è ambientata nell’età micenea e nei “secoli oscuri”. Costituisce la materia dalla quale traggono ispirazione gli aedi, cioè i cantori di gesta gloriose che rallegrano i banchetti dei sovrani e dei principi nell’età  micenea e nel  “medioevo ellenico”. Ma è soprattutto con l’affermazione delle poleis aristocratiche, nell’età  arcaica, che il mito diventa politicamente rilevante: le classi dominanti cercano di legittimare il loro potere e i loro privilegi mediante l’esibizione delle loro illustri genealogie di origine divina o eroica. Nel V secolo a. C., invece, nel periodo del cosiddetto illuminismo greco,contrassegnato dall’ascesa del demos, dall’affermazione della democrazia e del pensiero razionalistico, il mito è messo in discussione, sottoposto a critica. L’eroe, esaltato nell’epica e nella lirica (specialmente nella lirica corale), diventa un problema, perché rappresenta un passato con cui la polis deve fare i conti ( è questo il tema fondamentale di numerose  tragedie).

I miti non sono tutti uguali, e non hanno le stesse caratteristiche: bisogna distinguere, nell’immenso corpus  della mitologia greca, i miti cosmogonici, le saghe epiche, le novelle popolari  ecc. Noi ci occuperemo soltanto dei miti riguardanti gli eroi  (né storie di divinità, quindi, né di origini del mondo ), i quali, senza eccezione, si riferiscono all’età micenea  o a quella immediatamente successiva (dal 1700 al 1100, per intenderci).

Bisogna sottolineare, in primo luogo, che per i Greci di epoca classica ( con poche eccezioni) tali miti costituivano la loro memoria storica, erano storia, insomma. La storia come la intendiamo noi, oggi, non esisteva: o meglio, stava nascendo allora, faticosamente, da una embrionale critica al mito (nei secoli VII e VI  a. C.) riscontrabile in alcuni poeti lirici e nei logografi, per culminare, poi, nel V, con la creazione della storiografia vera e propria (i “padri della storia” sono Erodoto e Tucidide).

Quindi, per un Greco di media cultura del VI  o del V secolo, Eracle ed Edipo, Ulisse e Giasone erano veramente esistiti. Mediante il calcolo genealogico si cercava di stabilire quando.

Noi non possiamo, ovviamente, condividere la stessa convinzione. In primo luogo, dobbiamo tracciare una prima, grossolana distinzione tra due tipi di eroi:

-          Quelli che hanno qualche attinenza con eventi  storici, e che, sia pure in forma leggendaria, possono avere un’origine, in certo modo, “reale”: ad esempio, gli eroi delle saghe epiche, gli Atridi, Minosse.

-          Quelli che appartengono al folclore, che sono frutto, cioè, unicamente dell’immaginazione popolare, come, ad esempio, Eracle, Ulisse … ed Edipo.

Distinguere i primi dai secondi è abbastanza semplice: i primi appaiono in un solo racconto, localizzato nel tempo e nello spazio: i fatti possono essere trasfigurati dalla fantasia, ingigantiti, modificati. Ma alla loro origine può esserci un nucleo reale.

I secondi, invece, sono il risultato della fusione di diversi personaggi nati dall’immaginario popolare, personaggi che sono presenti nel folclore, nelle leggende, nei poemi epici, nelle fiabe (come Ulisse ed Edipo). Oppure sintetizzano, in un’unica esemplare figura tutte le qualità straordinarie che l’inconscio collettivo attribuiva all’ Eroe. Sono eroi civilizzatori.  Come Eracle, ad esempio, il Superman dell’antica Grecia, onnipresente in tutte le leggende e i miti dei luoghi più svariati, imparentato con tutte le dinastie regnanti dell’età micenea, in assoluto il più famoso e popolare degli eroi antichi. A lui la tradizione attribuisce  l’ invenzione delle Olimpiadi, la conquista di Troia una generazione prima della spedizione degli Atridi, una infinità di mogli, concubine e amanti, e quindi un esercito di figli, per non parlare delle celebri fatiche. Erodoto, uno dei “padri della storia”, solitamente preciso e scrupoloso, è in difficoltà quando ci parla di Eracle. Beninteso, per lui si tratta di un personaggio veramente esistito. Ma quando? A questo punto cominciano le difficoltà, derivate dalla tendenza, tipicamente erodotea, ma comune a tutti i Greci, di sforzarsi di individuare, nelle religioni dei popoli mediterranei, l’eroe o la divinità corrispondente. Dati i risultati palesemente contraddittori delle sue ricerche, Erodoto è costretto a ipotizzare l’esistenza di due Eracle: uno divino e uno umano. Il primo, identificabile con il fenicio Melqart e con l’egiziano Shu, sulla base dei calcoli dei sacerdoti egizi, sarebbe vissuto addirittura 15000 anni prima del faraone Amasi (569- 526 a. C.), cioè nel Paleolitico Superiore! L’altro, quello umano, quello delle dodici fatiche, sarebbe invece vissuto circa 900 anni prima di Erodoto, vale a dire nel secolo XIV a. C.  Poi, però, Eracle riappare tra gli antenati dello spartano Leonida – quello che morì alle Termopili, nel 480 a.C., combattendo contro i Persiani – e lo storico precisa, enumerando tutti gli antenati, che è vissuto 20 generazioni prima. Ma sul numero di anni che costituiscono una generazione, Erodoto dà indicazioni contraddittorie, oscillando tra i 23 e i 33 anni, il che ci riporta al X o al XII secolo. Palesemente assurdo.

Ulisse è un eroe composito, risultante dalla fusione di diversi personaggi del mito e del folclore: l’eroe che combatte a Troia, il navigatore avventuroso (presente presso tutti i popoli del Mediterraneo: c’è un Ulisse egiziano, uno etrusco, Simbad il marinaio …), l’uomo che ha nostalgia della patria, l’inventore di astuti stratagemmi, il vendicatore, il marito che torna , dopo una lunga assenza, appena in tempo per impedire le nuove nozze della moglie (personaggio presente nella fiaba russa, ma non solo …),l’uomo assetato di conoscenza e pronto a cacciarsi nei guai per soddisfare la sua curiosità …

Proprio in questo suo carattere molteplice, ambivalente, mutevole sta il fascino straordinario di Ulisse, forse il più fortunato nella storia della letteratura mondiale, e il più noto degli eroi del mito, capace ancora oggi di sedurre, con le sue meravigliose avventure, scolaresche di ragazzini, e non solo. Per chi ha familiarità con la cultura greca, Ulisse è una persona viva e reale. Ma questo è il miracolo della  grande poesia (Omero, ma anche Dante).

Un elemento accomuna Eracle e Ulisse: la loro antichità. Ne è indizio l’arco, l’arma che viene loro attribuita. Nella Grecia di età storica l’arco non gode di grande considerazione. Il combattente valoroso  è l’oplita, il soldato chiuso nella sua pesante armatura, che combatte faccia a faccia col nemico, accanto ai compagni, senza lasciare il suo posto, senza volgere le spalle (essere colpiti alla schiena è un grande disonore). L’arco è consentito ai giovanissimi efebi , quelli che non sono ancora guerrieri ( i ragazzi di leva, diremmo noi), o alla massa “plebea” che, armata di fionde e di archi, appunto, funge da supporto all’azione dei guerrieri “veri”. Combattere con l’arco è da vili. Un altro importante arciere dell’epica omerica, Paride, non gode di ottima fama. E’ un bellimbusto, capace, certo, di sedurre le donne, ma non è un “vero uomo”: è un vile, un mediocre. Persino Elena lo riconosce. Ettore, il fratello maggiore, lo rimprovera aspramente. Eppure è lui l’uccisore del grande Achille (un gesto vile, per un Greco di età classica. Una grande vittoria legittimamente riportata per chi, come gli antichi Achei o gli Ittiti, combatteva col carro e quindi aveva l’arco come arma abituale). E le fonti ittite del XIII secolo a. C. citano Alaxandos    (= Alessandro, secondo nome di Paride?) come sovrano potente e famoso di Wilusa (=Ilio, cioè Troia?).Se Paride si può, in via ipotetica, identificare con il personaggio delle fonti ittite, doveva essere, nel XIII secolo, il vero re di Troia, quindi tutt’altro che un uomo da nulla. Ma per i Greci egli ha rapito la moglie di colui che lo aveva accolto nella sua casa, violando le sacre leggi dell’ospitalità. Quindi è un essere spregevole, e, dato che combatte con l’arco, è un vigliacco. Eracle e Ulisse no. Restano grandi eroi, nella considerazione popolare, malgrado l’arco, che è chiaro indizio delle loro origini micenee, come l’elmo di Ulisse ricoperto di zanne di cinghiale, anch’esso tipicamente miceneo (si conservano diversi esemplari del genere, in vari musei). Ma Ulisse, malgrado alcuni tratti micenei, deve essere il risultato della fusione di un eroe acheo con uno molto più antico, pregreco addirittura: Il nome “Odisseo” (Ulisse è il nome latino) non ha una etimologia greca. Deriva, probabilmente, da quel sostrato che i linguisti chiamano egeo.

Il fatto che Ulisse è un personaggio nato dalla fantasia popolare non significa che l’Odissea sia frutto di pura fantasia: anch’essa contiene un nucleo di verità. La descrizione della fertile terra dei Ciclopi (che può essere identificata genericamente con l’Italia meridionale) nasce dai racconti avventurosi dei primi colonizzatori greci, e costituisce un invito alla ulteriore fondazione di colonie nel favoloso Occidente, il Far West degli antichi, luogo insidioso, certo, ma ricco di promesse e opportunità per chi, in tempi di crisi, in patria viveva in miseria. In quanto ai Ciclopi, poi, essi potrebbero essere nati, nella fantasia degli antichi Greci, dall’osservazione di qualche teschio fossile di elefante nano, specie diffusa nella Sicilia preistorica: la cavità ossea della proboscide poteva essere scambiata, da occhi inesperti, come l’orbita di un unico grande occhio in mezzo alla fronte.

Di Edipo ci occuperemo in seguito, analizzandone la storia “alla luce del folclore”.

MITO E STORIA

Quanto più indietro nel tempo si spinge la memoria storica  dei Greci, tanto più incerta e nebulosa appare la ricostruzione della loro protostoria. Per conoscere il loro passato, essi non avevano che le loro leggende. Noi  disponiamo dei dati emersi dall’indagine storica, archeologica e linguistica. E’ però interessante confrontare le prime con i secondi: anche nelle tradizioni più fantasiose, spesso, è possibile individuare un nucleo di verità.

Secondo la tradizione, dunque, quella che poi sarebbe stata chiamata Grecia, anticamente (noi diremmo: alla fine dell’Elladico Antico III, vale a dire verso il 2000 a. C.) era abitata da genti barbare, cioè non parlanti greco ( “barbaro”= balbuziente ): Cari, Lelegi, Pelasgi ( sostrato egeo, secondo i linguisti odierni).

Dell’arrivo degli Indoeuropei non si è serbato alcun ricordo. Il capostipite mitico dei Greci è Elleno, figlio di Deucalione e Pirra, gli unici esseri umani scampati  al diluvio (Deucalione è l’equivalente del biblico Noè). Da Elleno nascono Eolo, Doro e Xuto. Da quest’ultimo, Acheo e Ione, vale a dire tutti i capostipiti ed eponimi delle stirpi greche: il che significa, in parole povere, che, per i Greci, le loro origini si perdevano nella notte dei tempi. Notevole, però, era stato l’apporto straniero: Danao, eroe eponimo dei Danai ( che era uno dei nomi con i quali erano indicati i Micenei ) proveniva dall’Egitto. Gli archeologi confermano: non l’esistenza di Danao, ovviamente,ma i rapporti con l’Egitto. E’ proprio grazie al ritrovamento di oggetti d’importazione egizia che si riescono a datare, oggi,le varie fasi della civiltà micenea. Profondo, ad esempio, è l’influsso egiziano sullo splendido corredo funebre delle tombe a fossa del Circolo A e B di Micene (fine  XVII-XVI secolo) anche se l’influenza maggiore è quella dell’arte cretese.

Di origine egizia è anche Perseo, discendente di Danao e fondatore di Micene, la più importante e potente delle città del Tardo Elladico I (XVII-XVI secolo), come attestano l’imponente cinta muraria “ciclopica” con la celebre Porta dei leoni, i resti dell’abitato, i manufatti e le tavolette in lineare B: è proprio questo, infatti, il periodo del suo massimo splendore. Anche Cadmo, fondatore di Tebe e capostipite della dinastia regale che la governava (nonno del dio Dioniso, addirittura, e bisavolo di Edipo!) era di origine fenicia. E qui  sorge un problema: se Cadmo è così antico ( anche la fondazione di Tebe risalirebbe al XVI secolo), non si può ancora parlare di Fenici: solo a partire dall’XI secolo si hanno notizie certe della loro esistenza. I Greci, però, chiamavano con questo nome i popoli che abitavano lungo le coste della Siria, quindi bisogna ipotizzare l’arrivo di genti siriache o comunque medio-orientali nella Beozia del  Tardo Elladico I.                                   

A proposito di Cadmo: secondo la tradizione riferita da Erodoto ( Storie, V, 59) sarebbero stati proprio i Fenici venuti in Beozia insieme a Cadmo a introdurre in Grecia l’alfabeto fonetico. Lo storico afferma di avere visto con i propri occhi, su certi tripodi offerti ad Apollo, a Tebe, delle iscrizioni  “a caratteri cadmei “ che risalivano ai tempi di Laio  e di Edipo ed erano molto simili a iscrizioni ioniche. Dell’anacronismo di tale notizia abbiamo già fatto cenno: l’alfabeto fenicio non fu introdotto in Grecia prima del IX- VIII secolo a.C.,cioè circa 800 anni dopo l’epoca in cui è ambientato l’arrivo di Cadmo. Nell’ età micenea  l’unica scrittura nota era la lineare B. Ma Cadmo è un eroe civilizzatore, quindi è naturale, per i Greci di età storica, attribuire a lui l’introduzione della scrittura che essi conoscevano (della lineare B non sapevano nulla). Le iscrizioni viste da Erodoto nel tempio di Apollo Ismenio a Tebe erano, probabilmente, antiche epigrafi dell’VIII secolo, certo non dell’epoca di Laio o di Edipo, le cui vicende  dovrebbero essere ambientate nel XIV secolo . In quanto alla lineare B, sappiamo che i Micenei l’appresero dai Cretesi  in età molto antica, e non nel XIV secolo ( quando conquistarono Creta), come si pensava, ma almeno due – tre secoli prima, come dimostra l’epigrafe di KafKania ( inizi del XVII sec.) E non si limitarono a imitare: i segni che indicano misure, ad esempio, sono assenti nella lineare A usata dai Cretesi. Sono dunque invenzione dei Micenei.

Anche il mito degli Argonauti potrebbe contenere un nocciolo di verità: potrebbe essere la sintesi, simboleggiata da un unico memorabile viaggio, delle avventurose esplorazioni micenee dell’Egeo settentrionale e del Mar Nero: si trovano vasi micenei del Tardo Elladico I e II a Troia V e VI  (secoli XVIII-XIV) e a Mileto.

La leggenda del tributo umano di giovani vittime ateniesi da offrire al Minotauro sembra adombrare un dominio cretese su Atene micenea, come testimoniano i vasi del Tardo Minoico I e II rinvenuti nell’isola di Ceo, vicino alla costa attica. Che a Creta si praticassero i sacrifici umani (come, del resto, anche nella Grecia micenea) è dimostrato da una macabra scoperta: il crollo di un edificio adibito al culto travolse, uccidendoli, due sacerdoti, un uomo e una donna, che avevano appena sacrificato un quattordicenne ,i cui resti erano adagiati su un altare, con un coltello di selce piantato nel petto. Teseo – che è l’eroe civilizzatore dell’Attica – guidò, secondo il mito, la riscossa ateniese contro Creta: egli, probabilmente, è il simbolo di una guerra tra gli Achei del continente e il sovrano di Cnosso ( che era il leggendario Minosse: ma oggi si ritiene che Minosse fosse non un nome proprio,  bensì il titolo che spettava al re di Creta) , il quale, grazie alla sua straordinaria potenza navale, controllava il commercio nell’Egeo. La lotta  si concluse con la conquista micenea dell’isola, che, a partire dal 1450 circa, appare governata da un sovrano miceneo e  ormai “miceneizzata” in tutte le sue manifestazioni artistiche e culturali. Questa conquista fu favorita,da due eventi catastrofici: L’esplosione del vulcano di Thera, in seguito alla quale la maggior parte dell’isola sprofondò nell’Egeo (dando, probabilmente, origine al mito di Atlantide) danneggiando gravemente, con lo tsunami derivante dall’evento sismico, le coste settentrionali di Creta e, sicuramente, la famosa flotta di Minosse; e poi la morte dello stesso Minosse, il quale, partito per la Sicilia alla ricerca di Dedalo,il leggendario artista- inventore (il Leonardo da Vinci dell’antichità, lo definisce Taylour), fu ucciso a tradimento da Kokalos, il re di Kamiko (identificabile, forse, con l’odierna S. Angelo Muxaro, in prov. di Agrigento), che aveva accolto Dedalo e non aveva nessuna intenzione di consegnarlo ai Cretesi. I quali, dopo la morte del loro re, sarebbero partiti in forze per vendicarlo, ma, non essendovi riusciti, avrebbero fondato Eraclea Minoa nell’agrigentino, e poi, spinti da una tempesta sulla via del ritorno, si sarebbero fermati in Puglia, dove avrebbero fondato Iria ( odierna Oria). Anche in questo caso il mito contiene un nocciolo di verità: alcune scoperte archeologiche ( in particolare due anelli d’oro finemente cesellati trovati proprio a S. Angelo Muxaro, e alcune tombe a tholos di tipo egeo)  confermano i rapporti tra la Sicilia (e la Puglia) e Creta.

La civiltà micenea ha indubbiamente influenzato le culture indigene della Sicilia preistorica: v. ad esempio Thapsos e Pantalica ( secoli XV- XII).

Ma l’evento “storico” più importante della protostoria greca è senz’altro la guerra di Troia, alla quale partecipò la maggior parte degli staterelli micenei. La sua rilevanza – dovuta soprattutto alla diffusione dei poemi omerici ( definiti l’enciclopedia tribale dell’antica Grecia, una specie di summa delle loro tradizioni, del loro sapere, della loro civiltà)- è tale che essa funge da punto di riferimento per “datare” gli altri eventi mitici. Anche in questo caso, è probabile che alle origini della leggenda ci sia uno o più eventi bellici causati dalla necessità di controllare i Dardanelli, via d’accesso al Mar Nero. Ma stabilire se e quando si verificò la famosa guerra, se fu una sola o numerose, e con quali esiti, è una delle questioni più controverse della protostoria greca, sulla quale si sono versati fiumi d’inchiostro. Alla sua soluzione l’archeologia può fornire un aiuto molto relativo. I più, oggi, tendono a identificare nello strato 7a di Troia la città distrutta da Agamennone e Menelao, accettando, come la più plausibile, la datazione di Erodoto, che la considera avvenuta 800 anni prima di lui, vale a dire verso il 1250 a. C. Ma si tenga presente che gli antichi proponevano, per la guerra di Troia, almeno  una decina di date diverse, con lo scarto di secoli.

Ma all’epoca – presunta – della guerra di Troia, Micene era già in declino. Vi era un’altra città più potente, dal territorio più esteso, una città che rimase estranea alla guerra di Troia: Tebe, la città natale di Edipo e del dio Dioniso,(che con Edipo era imparentato, perché sua madre, Semele, era figlia di Cadmo, come quel Polidoro da cui era nato Labdaco, padre di Laio). Tebe, purtroppo, essendo stata ricostruita infinite volte sullo stesso sito, ed essendo ancora oggi intensamente popolata, e forse  poco attenta al suo glorioso passato (che viene ricordato solo nei nomi delle strade) non può essere sottoposta a una campagna sistematica di scavi. I pochi resti venuti alla luce – assai poco appariscenti e tali da non attrarre l’attenzione dei turisti – sono però molto significativi. Le tavolette in lineare B, in modo particolare, rinvenute in via Pelopida e nella via Edipo ( che è una delle vie principali,ovviamente), rivestono un’importanza particolare per lo studio della religione micenea. Viene citata, come destinataria di offerte di cereali, di olive e di vino, una divinità femminile chiamata  MA-KA nel dialetto acheo delle tavolette, cioè ma (matér,madre) ga (in attico ghe, terra): si tratta, insomma, della Dea Madre , eredità degli antichi popoli mediterranei, nota nel pantheon classico come Demetra, la dea delle messi, particolarmente venerata nei Misteri di Eleusi di età storica. Eschilo, che era nativo di Eleusi e subiva l’influsso del culto misterico, pone in bocca al coro delle Supplici l’invocazione: “ Ma Ga, Ma Ga (madre terra, madre terra) “ La religione eleusina aveva una grande importanza e una notevole diffusione, nella Grecia classica. Questo culto aveva origini tebane antichissime, micenee addirittura. Come dice Erodoto, erano stati i Gefirei, scacciati dai Beoti e accolti dagli Ateniesi, a far conoscere ad Atene la religione della terra madre (“Demetra Achea”). Ma chi erano i Gefirei?  Facciamo un passo indietro. Dell’antica storia di Tebe ecco ciò che ci narra la tradizione: morto Edipo, che, nella cronologia del mito, fondata sul calcolo delle generazioni, è contemporaneo, ma più anziano di Eracle, il quale, a sua volta, sarebbe vissuto una generazione prima della guerra di Troia, diventa re Eteocle. Sotto il suo regno si verifica l’impresa ( sfortunata)dei Sette duci argivi guidati da Polinice (cioè una guerra tra Tebe e Argo e la sua alleata Atene, insomma tra città micenee rivali). Dieci anni dopo, gli Epigoni, cioè i figli dei sette condottieri argivi  caduti nelle guerra precedente, muovono nuovamente all’attacco di Tebe e stavolta hanno la meglio. Alcmeone, figlio di Anfiarao (uno dei Sette) conquista la città, costringendo i Tebani a fuggire, parte verso l’Illiria, dove si stabilirono, parte ( i Gefirei di cui si parlava prima), dopo una serie di spostamenti interni, furono cacciati dai Beoti e si stabilirono ad Atene. Questi Gefirei dicevano di essere originari dell’Eubea, parte della quale era appunto sotto il dominio di Tebe, ma lo storico Erodoto, dopo avere effettuato – con lo scrupolo e l’attenzione che lo contraddistinguono – delle ricerche, afferma che essi sono i discendenti lontani di quei Fenici che erano giunti, in tempi lontani, insieme a Cadmo (Erodoto, Storie, V,59).

Sulla veridicità di questo racconto, l’archeologia ci dà un responso ambiguo: a Tebe sono stati individuati, tra l’altro, i resti di due abitazioni principesche: uno, il cosiddetto PALAZZO DI CADMO, in via Pindaro, fu distrutto da un incendio nella prima metà del XIV secolo. Il PALAZZO NUOVO  fu distrutto verso il 1250; questa data, secondo il Taylour, concorderebbe con quella della tradizione mitica: gli Epigoni apparterrebbero alla stessa generazione dei guerrieri che combattono a Troia, e la loro impresa non sarebbe di molto anteriore alla spedizione degli Atridi.

Assai meno poeticamente, il Godart ipotizza, invece, come causa della distruzione del palazzo dell’antico Cadmo, un terremoto di grave entità : lo dimostrerebbe il fatto che su alcune tavolette di argilla sono rimaste impresse tracce di segni accidentali, non eseguite dall’uomo ( ad esempio, dello scaffale di legno crollato insieme alle tavolette che conteneva). Ma questo può succedere solo se l’argilla è umida: segno, questo, che si trattava di tavolette pronte a essere utilizzate dagli scribi. La vita si svolgeva secondo il consueto ritmo quotidiano. Nulla lasciava presagire la catastrofe. Né timore di nemici incombenti, né tracce di assedio. Solo uno di quei normali cataclismi che ieri come oggi affliggono l’area orientale del Mediterraneo.

Come si può notare, i dati forniti dall’archeologia ci possono aiutare in modo assai limitato a orientarci nella ricostruzione  di un passato così remoto e affascinante.

Testi utilizzati: W. Taylour I micenei, Giunti 1987 e L. Godart, Popoli dell’Egeo Silvana Editoriale 2002

 

 

 

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