Seconda lezione U. P. G.C. 2011 Che cosa è il mito?

                                                          CHE   COSA   E’  IL  MITO?

Etimologicamente il termine mythos significa “parola, racconto, discorso” e ci rimanda alla plurisecolare tradizione orale della Grecia dell’alto arcaismo, tradizione fondata sulla memorizzazione e il “canto” degli aedi. La distinzione tra mythos ( discorso non razionale) e logos ( discorso razionale, studio, procedimento logicamente ordinato, e infine calcolo) non è originaria, ma è frutto dello sviluppo del pensiero filosofico greco, nel VI secolo a. C.

Secondo  Platone, che fu egli stesso creatore di miti “filosofici”, il mito è un racconto che riguarda dei,  eroi ed  esseri divini di vario tipo, come pure discese agli inferi  (Repubblica 3, 392a). Ma del mito sono state date, nel corso dei secoli, le più svariate definizioni: spiegazione “ingenua” dei fenomeni naturali, tipica delle società primitive, interpretazione della realtà, legittimazione di istituzioni sociali e politiche, rielaborazione di antichissime memorie storiche, veicolo di diffusione di una ideologia (intesa sia nella sua accezione positiva di “concezione del mondo” sia in quella negativa di “falsa coscienza”) … e tante altre ancora. La letteratura sull’argomento è sterminata. (1)

Senza entrare nel merito di un dibattito che è ancora lontano dalla conclusione ( il che, oltre tutto,sarebbe estraneo al nostro discorso), possiamo prendere in considerazione alcune concezioni del mito che ci aiutano, meglio di altre, a capire la complessità del fenomeno: la prima è quella di Lévi-Strauss (2) , per il quale il mito è uno strumento logico che sostituisce, a contraddizioni insolubili presenti nella realtà, altre antitesi più attenuate, che consentono,  con l’introduzione progressiva di antinomie sempre più deboli, la soluzione del problema. Lévi – Strauss polemizza con le interpretazioni tradizionali del mito. Per capire che cos’è – si chiede – non abbiamo dunque altra scelta che quella tra l’insulsaggine e il sofisma? Se osserviamo i miti, ci accorgiamo della loro arbitrarietà ( tutto può succedere in un mito; sembra che in essi la successione degli eventi non sia subordinata a nessuna regola di logica e di continuità). Tuttavia questi miti si ritrovano, con caratteri e temi molto simili, in tutte le parti del mondo. Come spiegare tale fenomeno? E qual è la natura del mito? Esso è contiguo a molti altri ambiti: il rito, la religione, l’ideologia, il folclore,la letteratura, ecc. Ma, pur presentando alcuni tratti comuni con ciascuno, non si identifica con nessuno di questi. Il mito è essenzialmente un linguaggio di tipo particolare. Per comprenderlo, bisogna, in primo luogo, evitare l’errore in cui incorrevano i “filosofi del linguaggio”, quando cercavano di associare un preciso senso a ogni singolo suono: ad esempio, le liquide evocherebbero lo stato corrispondente della materia ecc. Poi è venuto De Saussure, con il suo principio dell’arbitrarietà dei segni linguistici, a sgombrare il campo da simili equivoci: non c’è alcun legame “naturale” tra segno linguistico e senso.

Così gli studiosi del mito tentavano affannosamente di delineare l’ “identità” di dei ed eroi, cercando tutte le varianti e privilegiando le più antiche, presumibilmente più “autentiche”. Ma dei ed eroi non sono persone reali. Si potrebbe dire, parafrasando Shakespeare, con una citazione oggi di moda, che “sono fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni”. Come i fonemi si possono definire solo per contrapposizione ad altri fonemi ( “a” è “a” perché non è “b”, né “c” e così via) e acquistano senso solo  se uniti ad altri suoni per formare parole e frasi, allo stesso modo i personaggi del mito, e i miti stessi, hanno senso solo come parte di un codice e si definiscono solo per opposizione: Dioniso è Dioniso perché non è Apollo, né Zeus ecc. Se, invece, si vanno a cercare le origini e le più antiche attribuzioni del dio, egli finisce per dissolversi sotto i nostri occhi, e per confondersi con gli altri: Dioniso diventa indistinguibile da Apollo (e pensare che, nel Pantheon dell’età classica, essi hanno funzioni opposte! ) Ma torniamo al discorso sul linguaggio, e alle tesi di Lévi-Strauss.

 Nel linguaggio dobbiamo distinguere tra “langue” (cioè il codice, ad esempio la lingua italiana alla quale attinge chiunque voglia formulare un messaggio) e “ parole” (cioè il messaggio, le scelte concrete operate da ciascun parlante all’interno del codice, ogni volta che parla o scrive: scelte lessicali, sintattiche, stilistiche ecc. Vedi ad esempio L’infinito di Leopardi).Il linguaggio, insomma, è nello stesso tempo storico (nelle sue formulazioni concrete) e astorico (nella sua struttura: lessico, grammatica ecc.) Analogamente, anche il mito (che è linguaggio di un tipo particolare)presenta un duplice carattere, storico e astorico insieme. Cioè, gli avvenimenti che costituiscono il mito si sono verificati nel tempo passato, ma formano anche una struttura permanente che si riferisce simultaneamente al passato, al presente e al futuro. Somiglia, insomma, all’ideologia politica,che nella nostra società ha spesso preso il posto del mito. Se ad esempio, uno storico parla della lotta dei Comuni contro Federico Barbarossa, si riferisce a eventi precisi che si sono verificati nel XII secolo della nostra era. Ma se dello stesso fatto parla Bossi, la rivolta dei comuni assume un carattere diverso: non si tratta più soltanto di un avvenimento passato, ma di uno schema che permette di interpretare la situazione attuale del Nord Italia, e di intravvedere  i lineamenti dell’evoluzione futura ( dal punto di vista della Lega, ovviamente).  

 

  Il mito, dunque, ha una struttura simile, storica e non storica nello stesso tempo. La sua sostanza non sta né nello stile, né nel modo di narrazione, né nella sintassi, ma nella storia che vi è raccontata. Se esso ha un senso, questo senso non può consistere nei singoli elementi che lo compongono, ma nella maniera in cui tali elementi sono combinati. Il mito è un linguaggio dotato di proprietà specifiche, che vanno individuate al di sotto del livello linguistico abituale. Come ogni espressione linguistica, anche il mito è formato da unità costitutive, i  mitemi, che vanno individuati  a livello della frase( in una relazione, cioè) e  consistono in fasci di relazioni, come risulterà chiaro dall’esempio che segue.  Per mostrare il suo metodo  di analisi, Lèvi – Strauss prende in esame il mito di Edipo, interpretandolo “all’americana”,sulla base, cioè,dei miti dei “primitivi” del Sud America che sono oggetto del suo studio. Questo è il suo procedimento:

a)      Per prima cosa, divide il racconto in unità minime ( i mitemi, appunto) costituiti da frasi brevissime (soggetto più predicato)

b)      Lévi-Strauss, quindi, propone di leggere il mito come una partitura musicale: se leggiamo le note da sinistra a destra, un rigo dopo l’altro, otterremo la MELODIA. Ma  se leggiamo verticalmente, possiamo osservare il ripetersi, a intervalli regolari, di certi gruppi di note, oppure la presenza di analogie tra contorni  melodici, cioè l’ARMONIA. Insomma, una partitura musicale va letta sia orizzontalmente, in maniera diacronica (una nota dopo l’altra, un rigo dopo l’altro), sia verticalmente, in modo sincronico: tutte le note poste sulla stessa linea verticale formano una unità costitutiva, un FASCIO DI RELAZIONI. Analogamente,se ci propongono una serie di numeri interi (ad esempio,1, 2, 4, 7,8, 13,15, 18, 23, 24, 25,29, 31 32 36,37 ) chiedendoci di ordinarli in modo progressivo,ma nello stesso tempo in modo da sistemare in ciascuna linea verticale i numeri con le stesse unità, otterremo la seguente tabella:

   

      1  2      4       7    8  
        13       15       18  
    23 24 25       29
 31 32       36 37    

         

 

  Come si può notare, la tabella può essere letta normalmente, in senso orizzontale, ma anche verticalmente. La prima colonna contiene le cifre con il numero 1, la seconda quelle con il 2, e così via.

Analogamente,Lévi-Strauss dispone i mitemi (3) l’uno dopo l’altro, orizzontalmente, in modo che possano essere letti normalmente, da sinistra a destra; ma, nello stesso tempo,colloca nella stessa colonna, verticalmente, i mitemi che presentano tra loro affinità tematica, ottenendo la seguente tabella:

 

                                                                                                    

 

Cadmo cerca sua sorella Europa, rapita da Zeus 

 

 

             
  

 

        Cadmo uccide il drago    
  

 

    Gli Sparti si sterminano vicendevolmente        
  

 

            Il nome di Labdaco, padre di Laio, significa “zoppo”
  

 

    Edipo uccide suo padre Laio                                                        Il nome di Laio, padre di Edipo, significa “sbilenco”                                                   
  

 

                                                                                                      Edipo uccide la Sfinge     
Edipo sposa Giocasta, sua madre   

 

            Il nome di Edipo significa “piede gonfio”                                                                                                                                         
  

 

    Eteocle e Polinice, figli di Edipo, si uccidono vicendevolmente                                                  

  Antigone seppellisce

Polinice, suo fratello,

violando il divieto di

Creonte

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        

Se leggiamo il mito orizzontalmente, in ordine diacronico,otteniamo la storia dei discendenti di Cadmo. Ma se lo leggiamo in senso verticale, sincronico, notiamo che nella prima colonna sono elencati casi di rapporti di parentela sopravvalutati; nella seconda, al contrario,rapporti di parentela sottovalutati; la terza riguarda uccisioni di mostri; la quarta, nomi propri che indicano difetti fisici, in particolare la difficoltà a camminare diritti. Il senso del mito, dunque, risiede nella correlazione – contrapposizione tra le due prime colonne tra loro, e nella correlazione reciproca tra la terza e la quarta. La terza colonna si riferisce a mostri, esseri  ctonii che bisogna uccidere per consentire agli uomini di nascere dalla terra, o per salvarli da morte certa: in definitiva, viene negata l’autoctonia dell’uomo, cioè l’idea che l’uomo nasca direttamente dalla terra, come un vegetale. La difficoltà a camminare diritti, in mitologia, è caratteristica degli uomini che nascono dalla terra, al momento in cui emergono alla luce del sole. La quarta colonna sembra ribadire l’autoctonia dell’uomo. Si delinea così una correlazione: la quarta colonna ha con la terza lo stesso rapporto che la  prima ha con la seconda. Dunque il mito di Edipo, interpretato” all’americana” esprimerebbe l’impossibilità, in cui si trova una società che considera l’uomo nato dalla terra , di riconoscere che invece ciascuno di noi nasce da n uomo e da una donna. La difficoltà è insuperabile. Il mito di Edipo costituisce uno strumento logico che “getta un ponte” tra il problema iniziale (nasciamo da uno solo, o da due?) e il problema da esso derivato (il medesimo nasce dal medesimo, o dall’altro?).La sopravvalutazione dei rapporti di parentela sta alla loro sottovalutazione, come lo sforzo di sfuggire all’autoctonia sta all’impossibilità di riuscirci.

Lévi-Strauss si rende conto della “stranezza” della sua interpretazione : sa bene che gli studiosi del mondo classico la troveranno molto discutibile, e afferma di avere scelto il mito di Edipo solo come strumento per dimostrare l’applicazione del suo metodo. Ma la sua scelta è tutt’altro che casuale: in fondo egli è convinto che anche nell’antica Grecia, come nelle tribù dell’America che sono oggetto della sua indagine, sia diffusa la credenza nell’autoctonia , sulla base di un’espressione di Pausania (VIII,XXIX,4: Il vegetale è modello dell’uomo).

Non so fino a che punto possa riuscire convincente, per noi, una simile interpretazione “all’americana” . Troppo diverso è il contesto storico sociale dell’antica Grecia dalle culture studiate da Lèvi-Strauss. Non credo che il problema di fondo del mito di Edipo sia  costituito dal dilemma tra l’autoctonia dell’uomo e la nascita da un uomo e da una donna. Quello che mi sembra, invece, più condivisibile e più stimolante è il metodo di indagine adoperato dall’antropologo francese, e le sue osservazioni sulla natura del mito : esso è, in primo luogo, linguaggio, ma un linguaggio speciale, un sistema di segni che non hanno , di per sé, alcun significato, ma lo acquistano solo se messi in relazione tra loro, allo scopo di rappresentare le “ragioni nascoste” delle cose, della vita, della società, insomma uno strumento di pensiero che permette di cogliere la realtà più profonda, che “sta sotto” a quella apparente e superficiale. Il mito è, insomma, in primo luogo un modo di conoscenza e di appropriazione della realtà e, in secondo luogo, uno strumento di diffusione di comportamenti, di “valori” socialmente approvabili. Caratteristica fondamentale del linguaggio mitico (che è accostabile, per questo aspetto, a quello poetico), è la polisemia: un mito, cioè, può durare molto più a lungo della società che l’ha prodotto e assumere significati diversi e molteplici in contesti diversi. Qualunque sia stato il senso del mito di Edipo, alle origini, sicuramente esso ne assume uno diverso nella tragedia di Sofocle (come vedremo). Ma un esempio più semplice e più calzante può essere costituito dal mito di Adone.(4) Nato dall’amore incestuoso di Mirra per suo padre (Mirra era stata trasformata nell’albero omonimo, e il bambino nacque dall’albero), Adone divenne un adolescente bellissimo e fu conteso da Afrodite e Persefone.  Zeus quindi decise che il giovane avrebbe trascorso quattro mesi con la dea degli Inferi, quattro mesi con la dea della bellezza e dell’amore, e i restanti quattro mesi con chi preferiva. Adone scelse Afrodite. Ma un giorno fu ferito a morte da un cinghiale. Grande fu il dolore di Afrodite, dalle cui lacrime nacquero rose, mentre da ogni goccia di sangue dello sfortunato ragazzo germogliò l’adonide, un piccolo anemone selvatico, rosso come il sangue. Come è evidente, questo mito, che è di origine orientale, è uno dei tanti miti  di vegetazione, che celebra la morte del dio dell’anno, il partner della grande dea che rappresenta la terra. Ma nell’Atene del V secolo assume un altro significato: Adone è venerato dalle prostitute, che, ogni anno, per la sua festa, preparano i cosiddetti “giardini di Adone”: mettono dei semi di grano o legumi a germogliare in piccoli vasi, che assicurano una effimera fioritura in occasione della festa: è una sorta di anti-agricoltura. Le pianticelle, destinate ad appassire in pochi giorni, simboleggiano la vicenda del bellissimo adolescente, che seduce due dee ma non diventa mai un uomo vero, adulto: figlio di un’eroina il cui nome evoca fascinosi aromi orientali, usa la sua sessualità per un effimero piacere, ma rimane sterile e senza frutto, come le pianticelle dei suoi “giardini”. Non prende moglie, non genera figli, non diventa un soldato capace di combattere per la patria. Anzi, soccombe all’assalto di un animale selvatico. Il mito, insomma, trasmette un codice di valori e di comportamenti la cui violazione produce effetti molto negativi. Il polo opposto è rappresentato da Demetra, la dea  dell’agricoltura vera, la cui festa viene celebrata dalle donne perbene, sposate e madri di famiglia, che rifuggono dall’uso eccessivo dei profumi e dei mezzi di seduzione; e dai “ normali” cittadini della polis, mariti, padri e soldati. ( 4)

Una notazione curiosa: ancora oggi i “giardini di Adone”, in un contesto e con un significato radicalmente diverso, sopravvivono nella celebrazione dei cosiddetti “sepolcri” del venerdì santo: le vecchiette mettono a germogliare in piccoli vasi, in mezzo alla bambagia inumidita,  chicchi di grano ,lenticchie e così via. Poi li depongono accanto al Cristo morto. L’antico rituale ha mutato senso, e si è trasformato nel simbolo di una giovane vita spezzata.

 

NOTE

     1) Non posso riportare, per ovvi motivi, la bibliografia sul mito. Mi limiterò a citare i testi da me utilizzati ora, per questo lavoro : in primo luogo, P. Grimal, Mitologia, Milano 1999, Garzanti, e il 10° volume de Il materiale e l’immaginario, “Strumenti”, di Ceserani – De Federicis ,Torino, Loescher 1980 (per la voce MITO, di cui è autore G. F. Gianotti). Due esaurienti  raccolte di miti sono “ Gli dei e gli eroi della Grecia “ di Kerényi , Milano, Garzanti, 1978 (in due volumi) e   “I miti greci” di Robert Graves, Milano, Longanesi, 2008.

Trovo poi fondamentali  i testi  della scuola francese, di cui condivido pienamente l’impostazione: Vernant, Mito e pensiero presso i Greci, Torino, Einaudi 1978  e, dello stesso autore, Mito e tragedia  nell’antica Grecia, edito anch’esso da Einaudi nel 1976.

2) Riporto qui, in sintesi, parte del capitolo “La struttura del mito” dalla “Antropologia strutturale” di Lévi-Strauss, Milano, Il Saggiatore, 1975, pp.231-259. La parte in corsivo è il riassunto del testo di Lévi-Strauss. La parte in caratteri “normali” è invece l’esposizione del mio pensiero.

3) Mi lascia perplessa la scelta – piuttosto riduttiva – da parte di Lévi- Strauss di alcuni soltanto tra i numerosi mitemi che costituiscono la storia di Cadmo e dei suoi discendenti: sembra che siano prescelti solo quei mitemi che confermano lo schema, e che ne siano tralasciati altri, che sono ugualmente importanti. Per rendere comprensibile la vicenda, la riporto per intero, sempre nella stessa formulazione sintetica, sotto forma di mitemi: Zeus si invaghisce di Europa, che è una principessa fenicia, e la rapisce, assumendo l’aspetto di un toro. Cadmo cerca la sorella Europa, ma senza risultato. L’oracolo di Delfi gli ordina di rinunciare alla ricerca e di fondare una città. Per scegliere il sito della città, deve seguire una vacca. Cadmo segue una vacca che ha su entrambi i fianchi una macchia a forma di luna. La vacca si ferma in una località della Beozia. Cadmo decide di fermarsi là e di sacrificare la vacca agli dei. I suoi  compagni vanno ad attingere acqua alla vicina fonte di Ares. Il drago custode della fonte uccide i compagni di Cadmo. Questi uccide il drago. Per consiglio di Atena, semina i denti del drago. Dai denti del drago nascono guerrieri armati e minacciosi, gli Sparti (cioè i seminati). Cadmo, nascosto, scaglia contro di loro delle pietre. Gli  Sparti, credendo che sia uno di loro a lanciare le pietre, si sterminano a vicenda. Ne sopravvivono solo cinque. Per espiare l’uccisione del drago, Cadmo serve come schiavo, per sette anni, Ares. Scontata la pena, fonda Tebe e ne diventa re. Cadmo introduce l’alfabeto fenicio in Grecia. Cadmo sposa Armonia, figlia di Ares e di Afrodite. Cadmo e Armonia generano cinque figli, quattro femmine (Autonoe, Ino- Leucotea, Agave e Semele) e un maschio, Polidoro. Dopo avere regnato a lungo, Cadmo e Armonia si recano tra gli Illiri, ne diventano sovrani e infine, trasformati in serpenti, vengono divinizzati. Il trono di Tebe passa a Penteo, nipote di Cadmo, figlio di Agave e di Echione, uno degli Sparti. Un’altra delle sorelle, Semele, sedotta da Zeus, genera Dioniso. Penteo si oppone all’introduzione del culto di Dioniso e muore in modo orribile, per mano della propria madre, che, invasata dal dio, uccide il figlio senza riconoscerlo. Sul figlio maschio, Polidoro, le tradizioni divergono. Egli, comunque, esce subito di scena. Dopo Penteo, però, il trono di Tebe passa a Labdaco, figlio di Polidoro, anch’egli discendente degli Sparti (per parte di madre). Unico evento degno di nota del suo regno è una guerra contro Atene, governata da Pandione. Alla sua morte, poiché suo figlio Laio è ancora piccolo, diventa reggente il suo pro-zio Lico, figlio di uno degli Sparti. In seguito a congiure di palazzo, Laio è costretto a fuggire presso Pelope. Laio si innamora del figlio dell’ospite e lo rapisce, inventando così gli amori “contro natura”. Pelope lo maledice. Scomparsi gli usurpatori, Laio diventa re di Tebe e sposa Giocasta (secondo alcuni, Epicasta). Il resto del mito è noto.

(4) Riporto qui l’interpretazione di  Marcel Detienne ,” I giardini di Adone”, Torino, Einaudi 1975 , e” Dioniso e la pantera profumata”, Bari, Laterza,1981.

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