Sesta lezione U.P.G.C. 2011 Edipo secondo Fromm

“ EDIPO”  di Erich Fromm                                                                                                                                                                   (da  “Il linguaggio dimenticato”, Garzanti, 1973; ma la prima edizione in inglese è del 1951)

                                                                                                                                                                        

Perché il mito di Edipo, si era chiesto Sigmund Freud, scuote ancora l’animo dei moderni?  Per un motivo molto semplice, era stata la sua risposta: esso  rappresenta  drammaticamente  la soddisfazione  di  pulsioni  infantili  che sono presenti nel nostro inconscio e che, se ignorate o represse, costituiscono l’ origine di gravi nevrosi nell’età adulta: l’odio e la rivalità contro il padre, il desiderio di unione con la madre. La vicenda dell’uomo che, senza saperlo, uccide il padre e sposa la madre – azioni esecrabili, mostruose addirittura, ma tuttavia involontarie  - ci colpisce profondamente perché potrebbe capitare anche a noi. La sventura di Edipo – eroe, e nello stesso tempo criminale – ci appare come la tragedia del fato. Ma lo è veramente?

No, non lo è, secondo Fromm. Se l’interpretazione freudiana fosse corretta,  diversa dovrebbe essere la sequenza degli eventi : Edipo dovrebbe prima innamorarsi di Giocasta, poi  uccidere il padre. Ma nel mito succede il contrario. O meglio, Edipo uccide il padre per legittima difesa (diremmo noi),poi sposa la regina perché diventa re di Tebe. Ma né la tragedia sofoclea, né il mito ci parlano mai di amori incestuosi. Edipo non è innamorato di Giocasta, né Emone di sua madre Euridice. Se prendiamo in esame l’intera saga, ci accorgiamo che l’incesto è un elemento secondario. Un altro è il tema dominante: la rivolta del figlio contro il padre nella società patriarcale.

Nell’Edipo a Colono, ad esempio,Edipo maledice i suoi figli in lotta per la successione al  trono. Nell’Antigone, Emone  si ribella al padre per difendere la fanciulla amata, la sacralità dei vincoli familiari e le ragioni della democrazia contro il dispotismo. Creonte, al contrario, incarna il principio autoritario nella famiglia e nello stato. Per lui i valori supremi sono la “ragion di stato” cui tutto si deve sacrificare, e l’obbedienza all’autorità costituita. Nello scontro tra i due opposti codici etici Fromm  vede il riflesso dell’antico conflitto tra matriarcato e patriarcato.  La sua interpretazione del mito di Edipo si rifà alle tesi espresse, un secolo prima, da Bachofen  nel Mutterrecht  (Il diritto materno, 1961), riprese in seguito da Morgan (Ancient Society, La società antica,1877) e, in parte, anche da Engels (le origini della famiglia, della proprietà privata e dello stato , 1884) e da altri ancora. Secondo questi autori  (e secondo Fromm) la fase più antica della storia umana è caratterizzata dal matriarcato, cioè  dal prevalere, nella società e nella cultura, dell’elemento femminile, dalla supremazia della madre, che ha come corrispettivo, nel campo religioso, il culto della dea – madre, personificazione della terra che genera e nutre tutte le creature viventi senza distinzione alcuna. Valori supremi dell’etica matriarcale sono l’egalitarismo (tutti gli uomini sono uguali perché tutti sono figli di madri e ognuno è figlio della Madre Terra), l’importanza dei legami di sangue, il culto dei morti, il legame alla terra, oggetto di religioso rispetto (il che comporta l’accettazione passiva dei fenomeni naturali). Il sistema patriarcale – che subentra a quello matriarcale – è invece caratterizzato dallo sforzo dell’uomo di dominare la natura e modificare, a proprio vantaggio, i fenomeni naturali.                                                                                                                                                                         L’ordinamento matriarcale, secondo Morgan, è ancora (nell’Ottocento) individuabile nel sistema di parentela degli Indiani d’America, e di altre società primitive in Africa, Asia e Australia come pure, secondo Bachofen, nell’organizzazione sociale della Grecia arcaica. L’ Orestea di Eschilo, ad esempio, è incentrata sul conflitto  tra le Erinni, antiche divinità matriarcali  mediterranee e i vittoriosi dei olimpici. Per le prime, Oreste, che ha ucciso la madre  per vendicare il padre, è colpevole del crimine più grave di cui un uomo possa macchiarsi, perché  ha tradito il sacro legame che unisce il figlio a colei che gli ha dato la vita; per Apollo, invece, che è responsabile e ispiratore della vendetta di Oreste, quest’ultimo ha agito con giustizia, perché l’unico vero legame di sangue è quello del figlio con il padre: è il padre colui che genera. La donna non è che la custode del seme paterno. Quindi  la vendetta di Oreste contro la madre uxoricida è giustificata e merita la piena assoluzione. Il processo, che vede le divinità olimpiche – Apollo e Atena – schierate a difesa di Oreste, e le antiche terribili  dee ctonie – cioè terrestri, sotterranee – nelle vesti di implacabili accusatrici, si conclude con la vittoria degli dei olimpici, ma temperata da una sorta di compromesso: alle Erinni – divinità che incutono terrore – saranno attribuiti  onori  e sacrifici e una nuova sede di culto ( sede che non sarà un tempio, ma un luogo naturale ad esse consacrato: indizio, questo, della loro remota antichità. Le Erinni sono dee madri  preistoriche). In cambio, esse, divenute Eumenidi, cioè benevole, proteggeranno la polis che le ospita, rivolgendo contro i nemici esterni la loro temibile ira. Quest’aura di terrore che le circonda ( “Le possenti dallo sguardo tremendo”vengono definite) è indizio della loro appartenenza a un remoto passato: capita spesso, nella storia delle religioni antiche, che le divinità di una antica civiltà, al sopraggiungere di una nuova popolazione e di una diversa cultura, vengano demonizzate, e acquistino un’aura di pericolosità  e di mistero che prima non possedevano ( vedi, ad esempio, la trasformazione di Baal Zebub, divinità fenicia, in Belzebù, ovvero il diavolo, incarnazione del male, nella religione giudaico-cristiana).

Anche nella  intera “trilogia” (1)  di Sofocle dedicata al mito di Edipo, secondo Fromm, il tema dominante è il conflitto tra due opposti sistemi di valori: l’etica matriarcale e quella patriarcale. Della prima si fa portavoce Antigone, figlia di Edipo. Violando il decreto di Creonte, che vuole lasciare insepolti i “traditori” della patria, cerca di dare  onorevole sepoltura al fratello Polinice, a prezzo della vita. Al sovrano che ribadisce la necessità dell’obbedienza alle leggi dello stato e all’autorità costituita, essa replica affermando la preminenza delle leggi non scritte , che sono insite nel cuore dell’uomo da sempre, e il primato dell’amore e dei legami familiari  rispetto alla ragion politica:

Creonte: Sapevi che era proibito seppellire quel cadavere?

Antigone: Lo sapevo. Come avrei potuto ignorarlo? Il tuo bando è di pubblico dominio.

Creonte:  E tuttavia hai osato calpestare queste leggi?

Antigone:  Ma non è stato Zeus a proclamarle, né la Giustizia che dimora con gli dei  sotterranei  ha mai  stabilito norme simili tra gli uomini. E io non credevo che i tuoi decreti avessero tanta for indurre un mortale a violare le leggi non scritte e incrollabili degli dei. Esse infatti  non da oggi, né  da ieri, ma da sempre sono in vigore, e nessuno sa quando apparvero. E io non volevo, per paura di un uomo, rendermi colpevole al cospetto degli dei. Sapevo, certo, di dover morire,  anche senza i tuoi editti ….. ma per me un simile destino non è un dolore. Se invece avessi  lasciato insepolto questo morto, che è nato dalla mia stessa madre, questo sì, per me sarebbe un  dolore. E se per caso ora ti sembro folle, forse il pazzo è chi mi accusa di follia.

 Creonte … ma non era tuo fratello anche l’altro, che è morto combattendo contro di lui?

Antigone:    fratello, certo, nato dalla stessa madre e dallo stesso padre.

Creonte:  Perché allora rendi all’uno un onore che è insulto per l’altro?

 Antigone: La morte esige uguale rispetto.

Creonte : Ma il nemico non può   ottenere   onore uguale all’amico, nemmeno da morto.

Antigone: Non per odiare, per amare io nacqui.

Creonte: E allora, se per te l’amore è un obbligo, va’ sotterra  ad amare i morti: finché io vivo, non sarà una   donna  a comandare.                            ( Sofocle, Antigone,vv. 447 – 525, sintesi )

Non a caso Antigone sarà sepolta viva in una caverna: la pena serve a sottolineare l’appartenenza dell’eroina a un mondo diverso e arcaico, quella della dea madre, la Terra. La sua morte è un ritorno al grembo da cui tutte le creature hanno origine. Del resto, anche Edipo, quando vuole lodare le figlie, in contrapposizione ai maschi, divorati dall’ambizione fino al punto di uccidersi tra loro, afferma che i loro costumi sono simili a quelli vigenti in Egitto, del tutto opposti a quelli della antica Grecia patriarcale              – maschilista, diremmo noi - : in Egitto sono le donne a occuparsi delle questioni  familiari e degli affari più importanti, mentre gli uomini restano in casa a filare e a tessere (cfr. Erodoto,II 35). Così anche le figlie di Edipo, Antigone soprattutto, si prendono cura del padre sventurato, e gli procurano di che vivere, mentre i figli si autodistruggono per inseguire la loro cieca smania di potere, calpestando qualsiasi vincolo di sangue. Dell’appartenenza di Edipo all’antico mondo matriarcale si è già detto: anche la sua morte avviene in modo misterioso e solenne (Teseo ne è l’unico testimone) in una caverna sotterranea in cui egli si ritira quando capisce che è giunta la sua ora: è un ritorno al grembo della grande Madre Terra, e nello stesso tempo una sorta di apoteosi, di divinizzazione. L’eroe morto sarà il protettore dell’Attica, la terra che generosamente gli ha concesso rifugio ed asilo. Il che non sorprende affatto: nell’antica Grecia il culto degli eroi era importante e diffuso. Durante la battaglia di Maratona (490 a.C. ), come narra lo storico Erodoto, i soldati ateniesi erano convinti di avere visto combattere al loro fianco certe strane figure di guerrieri giganteschi e invincibili, che erano, secondo loro, gli antichi eroi sepolti in terra attica tornati tra i vivi per respingere i Persiani invasori.

Anche Emone, il figlio di Creonte fidanzato di Antigone, si schiera dalla parte dei valori “matriarcali” in una difesa tanto appassionata quanto vana della fanciulla amata e del suo gesto coraggioso:

Emone: Padre, tu non sei in grado di conoscere con precisione tutto ciò che si dice o si fa o il biasimo di cui sei oggetto. Ma a me, nell’ombra, è possibile vedere che l’intera città piange per questa fanciulla, dicendo che tra tutte le donne è la più immeritevole di subire questa ingiusta condanna a morte per un’azione nobilissima, proprio lei che non ha lasciato  il fratello insepolto, preda di cani e di uccelli. Non è forse degna di un premio d’oro, costei? Tale voce oscura corre silenziosamente per la città. E a me, padre, nulla preme più del tuo buon nome …. Non credere che sia giusto soltanto ciò che  dici tu, e nient’altro. Cedi dunque, e abbandona la tua ira.

Creonte: E io, alla mia età, dovrei imparare la saggezza da un ragazzo?

Emone: Nulla che non sia giusto. E se io sono giovane, non devi badare all’età più che alle azioni.

Creonte: Quale azione? Onorare i ribelli?

Emone: Non ti chiederei certo di onorare i malvagi.

Creonte: E costei non è affetta da una simile malattia?

Emone: Non la pensa così l’intero popolo di Tebe.

Creonte: La città dunque mi dirà che decisioni devo prendere?

Emone: Non esiste città che sia proprietà di un solo uomo.

Creonte: La città non appartiene a chi la governa?

Emone: Da solo, regneresti sul deserto.

Creonte: Costui, è chiaro, lotta per la donna.

Emone: Sei forse una donna? Di te mi preoccupo.

Creonte: Sciagurato, ingiustamente ti scagli contro tuo padre.

Emone: Perché ti vedo agire contro giustizia.

Creonte Dunque sbaglio rispettando il mio potere?

Emone: Non lo rispetti, calpestando gli onori dovuti agli dei.

Creonte: Indole scellerata, schiavo di una femmina! Viva, non la sposerai mai!

Emone: Allora morirà e, morendo, porterà con sé qualcun altro!

In definitiva, secondo Fromm, le tragedie sofoclee che hanno per argomento le vicende di Edipo e dei suoi figli, come pure l’Orestea di Eschilo, vertono sul passaggio da una cultura matriarcale a una patriarcale, passaggio che si attua in modo conflittuale e drammatico. Ma quali sono le cause di tale trasformazione? Perché mai la madre perde il suo primato?  Anche in questo caso il mito di Edipo ci fornisce una risposta: la caduta del matriarcato è causata da debolezza (Ismene ha paura di aiutare Antigone a seppellire il fratello) e colpa: accettando di abbandonare sui monti il suo bambino, e destinandolo così a morte certa, Giocasta tradisce il suo dovere di madre, anteponendo al figlio, nato dal suo stesso sangue, la vita del marito, che è sostanzialmente un estraneo (e, non si dimentichi, per l’etica matriarcale i vincoli di sangue contano più di ogni altra cosa). Questa colpa  di donne – una sorta di peccato originale – ha avuto come conseguenza l’affermazione del dominio maschile e patriarcale. La forma più elevata di civiltà sarà raggiunta quando sarà possibile conciliare le odierne conquiste della scienza e della tecnica(“patriarcali”) con gli antichi valori ”matriarcali”: amore per tutti gli uomini, egualitarismo, rispetto per la natura … sarà, insomma, una ripresa del matriarcato,ma ad  un livello più alto.

Questo è anche, in definitiva, per Fromm, il messaggio e il monito di Sofocle: la polis è destinata ad autodistruggersi se non riesce a raggiungere l’equilibrio tra l’ autorità legittima e la democrazia, tra la ragion di stato e il senso di umanità, tra il rispetto delle leggi umane e l’osservanza di quelle “non scritte”, tra i diritti della famiglia e dell’ individuo da una parte e quelli della collettività dall’altra. Non a caso, Creonte, che apparentemente,nel conflitto contro Antigone, è il vincitore, alla fine è annientato (“ Io non sono più nulla” esclamerà, sconsolato, tenendo tra le braccia il cadavere di Emone, suicida per colpa sua) perché ha perduto tutti i suoi affetti  più cari  (il figlio e la moglie), e con essi ogni gioia, senza la quale non vale nemmeno la pena di vivere (v. finale dell’Antigone). Tuttavia, questo  scontro tra codici etici non è qualcosa che riguarda il remoto passato di Atene, ma “deve essere inteso nel quadro della situazione politica e culturale dell’epoca di Sofocle e dell’atteggiamento da lui assunto nei confronti di essa” , come dice Fromm (pag.219).

I drammatici eventi che caratterizzano la storia ateniese del V secolo – la guerra del Peloponneso, la terribile epidemia del 430, gli sconvolgimenti politici e  costituzionali –  segnano profondamente la cultura di Atene, mettendo in crisi le antiche tradizioni religiose e filosofiche. I sofisti – alcuni sofisti in particolare, che fanno capo a Crizia, zio di Platone, massimo esponente del partito oligarchico e futuro leader dei Trenta tiranni – sono sostenitori di una dittatura esercitata da un’élite intellettuale e sociale e di un’etica “del superuomo” fondata sul più cinico e spregiudicato opportunismo. Contro di essi prende posizione Sofocle                     (il suo Creonte è la personificazione del modello sofista), difendendo le ragioni della democrazia e ribadendo i principi di un’etica umanistica ed egalitaria che affondano le loro radici nell’antica religiosità e nelle convinzioni  del popolo, soprattutto di quello rurale. Tale religiosità – è superfluo dirlo – non è quella “ufficiale” degli aristocratici dei olimpici, ma quella delle antichissime dee matriarcali. Il pensiero del  poeta è mirabilmente espresso nel famosissimo  Primo Stasimo dell’Antigone:

Molti sono gli esseri straordinari e terribili e dotati di ingegno

ma nessuno lo è più dell’uomo:

anche al di là del mare canuto

con il vento tempestoso egli avanza

spingendosi tra i flutti che  gli spumeggiano altissimi  intorno,

e la più possente tra gli dei, la Terra,

incorruttibile, infaticabile, egli cerca di soggiogare

solcandola con l’aratro, anno dopo anno,

per mezzo della stirpe equina.

E le specie degli uccelli dagli alati pensieri

avviluppandole  egli cattura

e le razze delle bestie selvatiche

e le creature marine

nei lacci delle sue reti,

l’uomo ingegnoso; e domina

con le sue trappole la fiera agreste vagante sui monti, e il cavallo

dalla folta criniera assoggetta al curvo giogo

e il montano infaticabile toro.

E parola e pensiero rapido come il vento

e impulsi a civili ordinamenti egli apprese da sé, e a evitare

i dardi del gelo inospitale e i celesti rovesci

di violente piogge

l’uomo ricco di risorse; mai privo di risorse egli affronta

il futuro; solo dalla morte

non troverà scampo;

ma anche per malattie incurabili

ha escogitato rimedi.

Possedendo al di là di ogni speranza

un’intelligenza capace di creare le arti,

talvolta si dirige verso il male, talvolta verso il bene.

Se riesce a conciliare le leggi del suo paese

e la giustizia giurata agli dei,

egli innalza la polis; ma è senza patria colui al quale

il male è connaturato per tracotanza.

Mai condivida con me il focolare

Né le idee chi agisce così.

NOTA  (1): i tre drammi di Sofocle riguardanti la saga dei Labdacidi sono definiti da Fromm una trilogia impropriamente, perché composti  e messi in scena in epoche diverse, non corrispondenti nemmeno alla successione cronologica degli eventi mitici: l’Antigone ( che tratta delle vicende dei figli di Edipo e dovrebbe, quindi, essere l’ultima del ciclo tebano) è la più antica, del 442. Edipo re, che nella cronologia del mito dovrebbe essere la prima delle tragedie, è del 425 circa. L’Edipo a Colono (che nella cronologia del mito dovrebbe essere successiva all’Edipo re e anteriore all’Antigone) fu invece l’ultima opera di Sofocle, da lui composta in tarda vecchiaia e rappresentata postuma, nel 401 a. C.

La trilogia classica era costituita da tre tragedie  che vertevano sullo stesso mito, (si parla in questo caso di “trilogia legata”, come l’Orestea di Eschilo) o che comunque avevano tra loro un legame tematico,le quali venivano rappresentate nello stesso giorno, una dopo l’altra, ed erano seguite da un “dramma satiresco” che riprendeva in chiave farsesca gli argomenti che nelle tragedie erano affrontati in modo serio. Sia Antigone, che l’Edipo re e l’Edipo a Colono facevano parte di trilogie diverse. Ma gli altri drammi ai quali questi erano associati, e che facevano parte di cicli mitici differenti, ma che comunque dovevano certo avere una qualche connessione ideale con le tragedie che abbiamo esaminato, non ci sono pervenuti.                                                    

 

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