UPGC Presentazione della commedia di Aristofane “Ecclesiazuse”

ARISTOFANE: Le donne all’assemblea (Ecclesiazuse)

Quando mette in scena questa commedia, la penultima tra quelle a noi pervenute, cioè nel 392 a. C. , Aristofane si avvia alla conclusione della sua carriera poetica e della sua vita (morirà pochi anni dopo, presumibilmente nel 385). Il “secolo d’oro” di Atene è ormai tramontato. La città è stremata da decenni di guerra (la trentennale guerra del Peloponneso contro Sparta), umiliata dalla potente rivale, logorata da sconvolgimenti interni (due colpi di stato, la sanguinaria dittatura dei Trenta Tiranni, la guerra civile per il ristabilimento della democrazia, con il suo strascico di rancori e di vendette … ). All’alba del IV secolo essa tenta, faticosamente, di riconquistare l’antico splendore, in un quadro politico generale profondamente mutato, caratterizzato da un perenne stato di guerra tra le poleis per l’affermazione di un’egemonia che nessuno più è in grado di esercitare, e dall’interventismo della Persia, che attizza le rivalità intestine tra le città greche, per affermare meglio i suoi interessi . Insomma, la crisi della polis è ormai inarrestabile, e la sua vicenda storica si concluderà, negli ultimi decenni del secolo, con l’avvento della monarchia macedone.
Il teatro, profondamente legato alla vita della polis, ne condivide la sorte: la grande tragedia classica è morta insieme ai suoi massimi rappresentanti, Euripide e Sofocle ( tra il 406 e il 405); la commedia antica, (Arkhaia), fondata sulla satira politica e culturale, con la scomparsa dei suoi principali bersagli polemici (Cleone, Euripide, Socrate …) ha ormai perduto mordente, tende a staccarsi dall’attualità, a rifugiarsi nel mondo dell’utopia, dando inizio a quella evoluzione che, attraverso la fase intermedia della Mese (la commedia di mezzo) sfocerà nella nuova (Nea) commedia borghese di Menandro.
In effetti, Le Ecclesiazuse è una commedia diversa dalle altre: in primo luogo, perché manca la parabasi (letteralmente: “marcia da vicino”) che è un elemento caratterizzante della commedia antica, e poi perché i riferimenti all’attualità sono ridotti al minimo (si limitano a battute beffarde nei confronti di personaggi minori). Essa dà l’avvio a quella “seconda maniera” di Aristofane che noi conosciamo poco e che prelude ai successivi sviluppi del teatro “comico” greco. Eccone, in sintesi, l’argomento:
E’ l’alba. Entra in scena, travestita da uomo, Prassagora, che ha convinto le altre donne di Atene a realizzare un audace progetto politico: prendere il potere, togliendolo ai maschi, che si sono rivelati incapaci di gestirlo , amministrando lo stato nel modo peggiore che si possa immaginare: guerre,squilibri sociali, corruzione, dissesto economico … ben presto si riuniscono intorno a lei le donne del coro, in abiti maschili e camuffate con barbe posticce. Così travestite, andranno in assemblea per far approvare – in modo legale- la loro audace riforma. Davanti a loro Prassagora tiene, per prova, il discorso che ha preparato: si tratta di una divertente parodia di orazione politica, in cui viene enunciato un programma rivoluzionario, che prevede l’instaurazione del comunismo. Dopo aver preso gli opportuni accordi, le donne escono per recarsi all’ecclesia.
Entra in scena Blepiro, il marito di Prassagora, ridicolmente acconciato in abiti e calzature femminili (il giallo è colore tipico da donna, nell’antica Grecia, come lo è per noi il rosa): spinto da un urgente bisogno corporale a uscire di casa, non ha più trovato né il suo vestito, né le sue scarpe, inspiegabilmente scomparsi insieme a sua moglie ed è stato costretto a utilizzare quelli di Prassagora. Dopo un breve, buffo dialogo con un vicino di casa, che si stupisce nel vederlo conciato in quel modo, e lamenta la stessa “misteriosa” sparizione di sua moglie e dei suoi indumenti, Blepiro , che ha problemi di … evacuazione, leva i suoi lamenti, invocando persino Ilizia, la dea del parto. Torna dall’assemblea Cremete, un altro vicino, con una notizia sensazionale: l’assemblea ha deliberato di dare tutto il potere alle donne. Dopo un breve intermezzo corale, rientra Prassagora, la quale fa credere al marito di essere uscita all’alba per assistere un’amica durante il parto, e finge di apprendere da lui ciò che ha deliberato l’assemblea. Ma quando Blepiro comincia ad enunciare le nuove leggi, messa da parte ogni esitazione, Prassagora espone la sua riforma, che prevede il comunismo dei beni, degli uomini e delle donne (con l’abolizione, di fatto, della famiglia e della proprietà privata): essendo tutto comune, non ci saranno più squilibri sociali, né motivi per delinquere, né cause di conflitto. Tutti hanno uguali diritti e uguali doveri, o meglio, i maggiori oneri di gestione dello stato e di ciò che prima era il privato, spetteranno alle donne. Agli uomini toccherà una “vita beata”, senza preoccupazioni di sorta, perché a tutto penseranno le donne: banchetti, feste e “libero amore” saranno le loro uniche attività (il che significa che si è verificato – sia pure solo a livello immaginario – un radicale rovesciamento della prospettiva tradizionale: gli uomini, presentati nell’espletamento delle loro funzioni più “corporali” e animalesche, sono ridotti alla loro funzione riproduttiva. Come stalloni, insomma). E, dato che tutti hanno uguale diritto al piacere sessuale, i giovani belli e aitanti non potranno fare l’amore con la loro donna, se prima non avranno soddisfatto anche una donna vecchia e brutta, e lo stesso vale per le ragazze attraenti, che avranno l’obbligo di “accontentare” le voglie di un uomo brutto e vecchio, prima di andare col loro innamorato … Anche se esposta in forma comica, con dei risvolti paradossali, l’utopia del comunismo dei beni e dell’abolizione della famiglia era tutt’altro che peregrina: se ne discuteva da tempo, era – come si suol dire – “nell’aria”. Già un tale Falea di Calcedonia l’aveva ipotizzata. Ma sarebbe stato il grande Platone, pochi anni dopo, a teorizzarla compiutamente (Repubblica e Leggi).
Dopo le iniziali perplessità, Blepiro e Cremete sono conquistati dalle idee rivoluzionarie di Prassagora. Blepiro è fiero di essere il marito della leader … (ancora il consueto rovesciamento dei ruoli: di solito era la donna “del capo”a essere fiera della sua posizione di “gloria riflessa”). Il coro esegue una breve danza, che fa le veci della parabasi (che si sarebbe dovuta trovare a questo punto) dopo di che tutti escono di scena.
Nella Commedia Antica, alla parabasi seguiva l’Agone tra due personaggi del coro che sostenevano tesi opposte. Qui , invece dell’agone troviamo un buffo dialogo tra l’entusiasta Cremete, che si affretta a raccogliere tutti i suoi averi per consegnarli e metterli in comune, e uno scettico, che non intende consegnare un bel nulla, e prima vuole vedere che faranno gli altri, e inventa ogni pretesto per tenersi la sua roba. La discussione è interrotta dall’arrivo di una donna – araldo che invita tutti al banchetto comune, già pronto. I due uomini si avviano a godere dei vantaggi del nuovo ordinamento, anche l’uomo che non ha voluto contribuire per nulla alla “ricchezza comune”, felice di “scroccare” allo stato il più possibile.
Ora la scena cambia: alla finestra c’è una vecchia imbellettata, che attende con ansia l’arrivo di qualche giovanotto. Alla finestra di fronte, una ragazza aspetta il suo innamorato. C’è uno scambio di battute salaci e piuttosto velenose tra le due donne, quindi, al sopraggiungere del malcapitato, la vecchia impone l’osservanza delle nuove leggi. Ma appaiono improvvisamente altre due vecchie, l’una più brutta e ripugnante dell’altra, che accampano i loro diritti di precedenza … il povero giovane conteso potrà andare dalla sua amata solo avere soddisfatto le megere …
Mentre il poveretto esce di scena, trascinato via dalle sue “rapitrici”, arriva un’ancella ubriaca, che torna dal banchetto e, per ordine di Prassagora, va in cerca di Blepiro, l’unico che non ha ancora pranzato. Trovatolo, lo invita al banchetto comune insieme alle ragazze del coro. Intanto la corifea si rivolge al pubblico e in particolare ai giudici ( si tenga presente che la commedia partecipava ad una gare tra cinque concorrenti, tra le quali i giudici dovevano scegliere la vincitrice) esortandoli ad assegnare la vittoria alle Ecclesiazuse (anche l’invito ai giudici di gara e la polemica contro gli altri commediografi tradizionalmente facevano parte della parabasi). Infine l’ancella invita tutti allo straordinario banchetto in cui verrà servito un fantastico manicaretto fatto con gli ingredienti più assurdi e disparati (come se noi volessimo servire ai nostri ospiti una torta di cioccolato, salsicce, vongole e pesce alla griglia … ) e tutti si avviano intonando un canto dionisiaco.
Secondo la maggior parte degli studiosi, Aristofane vuole mettere in ridicolo il comunismo e le donne. Io non ne sarei così certa. Sicuramente la commedia antica si fonda sulla satira e la ridicolizzazione di chi sta al potere. Obiettivo principale del poeta comico è far ridere. Ma Aristofane ha un atteggiamento ambivalente nei confronti dei bersagli delle sue canzonature: prende in giro Euripide, ne fa la parodia … e lo imita. Beffeggia violentemente Socrate ( non poteva prevedere che trent’anni dopo le sue burle avrebbero fornito argomenti ai suoi uccisori), ma, nei dialoghi platonici, lo vediamo interloquire tranquillamente con il filosofo, e sostenere tesi non troppo distanti dalle sue. Certo, il potere delle donne e il comunismo sono utopie presentate nei loro risvolti comici … non diversamente da quanto accade, ad esempio, negli Uccelli. Ma è come se il Poeta, stanco e amareggiato dalla negatività del suo presente, volesse rifugiarsi nell’utopia, con la pessimistica consapevolezza, però, che ogni regime finisce inevitabilmente per guastarsi, e trasformarsi in un nuovo stato di servitù. Il fantasioso manicaretto finale non è, in definitiva, che il simbolo dell’ irrimediabile guazzabuglio della storia umana.
Lucia Cutuli

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