Introduzione alla preistoria

INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA PREISTORIA

Chiamiamo preistoria quella fase lunghissima della storia umana che possiamo ricostruire unicamente sulla base di resti fossili e archeologici.
Numerose scienze concorrono allo studio della preistoria:
- L’archeologia: ricerca e analisi dei reperti che sono il risultato dell’ industria o comunque della presenza dell’uomo (strumenti litici, cioè di pietra, manufatti vari, avanzi di pasto …) e dei siti abitati (caverne, ripari sotto roccia, resti di capanne).
- La paleontologia (studio dei fossili) associata alla paleozoologia (studio dell’antica fauna) e alla paleobotanica (studio della flora antica) : per ricostruire l’ambiente e il clima che furono teatro delle vicende dei nostri lontani antenati, è importante vedere a quali fossili animali e vegetali sono associati i resti umani. Anche lo studio dei pollini delle piante preistoriche (palinologia) può fornire utili indicazioni.
- La geologia (studio della terra e della sua storia, della natura e dell’età delle rocce, ecc.). Particolarmente importante ai fini della datazione dei reperti fossili o dei manufatti litici è l’analisi della stratigrafia: nel corso della sua lunghissima storia la crosta terrestre ha subito numerose modifiche. Eruzioni vulcaniche, glaciazioni, fasi alluvionali hanno lasciato tracce perenni nei vari strati geologici che si sono sovrapposti gli uni agli altri nel corso di milioni e milioni di anni. Così, se noi “tagliamo” una porzione di terreno, possiamo “leggere” nella successione e nella diversa composizione dei vari strati (rocce eruttive, argilla ecc.), come in una torta millefoglie, la sua storia. Se riusciamo a datare i vari strati, possiamo, di conseguenza, datare i fossili o i resti di industria umana che vi sono rimasti imprigionati, come l’uvetta nella torta. Ovviamente, i fossili e i manufatti che si trovano negli strati inferiori sono i più antichi, e, viceversa, i più superficiali sono i più recenti.
- La biologia molecolare: attraverso l’analisi del DNA dell’uomo moderno e degli attuali primati (le scimmie antropomorfe: scimpanzé, gorilla, orango, gibbone) si cerca di stabilire il grado di affinità tra di essi a livello genetico, e di risalire a un lontano antenato comune.
I sostenitori di questo metodo d’indagine partono da un presupposto: l’accettazione della teoria evoluzionistica di Darwin, secondo il quale le specie sono il risultato di lunghissimi processi di selezione naturale, e la specie umana non fa eccezione. Questa tesi è accettata, oggi, dalla maggioranza ( ma non dalla totalità) degli studiosi.

I SISTEMI DI DATAZIONE
Per stabilire l’età di un reperto – fossile, soprattutto – oltre a tenere presente la sua associazione ad altri resti zoologici e botanici di epoca nota, disponiamo di vari sistemi, tra i quali i più noti sono il carbonio – 14 e il potassio – argo.
Il radiocarbonio ( o carbonio – 14) è un elemento che fa parte di tutti i composti organici. Quando la materia organica muore, essa smette di scambiare (con la respirazione) il suo carbonio con l’atmosfera, sotto forma di anidride carbonica, cosicché il carbonio radioattivo comincia a diminuire secondo una misura costante nota. Si può quindi dedurre l’età di un reperto fossile (più esattamente, l’epoca della sua morte), misurando la quantità di carbonio -14 che contiene. Il radiocarbonio serve a datare i reperti di natura organica (ossa, pelli, cuoio, legno, persino ceramica) ma non i metalli. Inoltre, non funziona con i reperti davvero molto antichi: si può arrivare al massimo a 50/40.000 anni fa (cioè all’uomo di Neanderthal). Ma per i fossili più antichi (varie specie di ominidi, o addirittura dinosauri, quando si tratta di andare indietro nel tempo di milioni di anni) bisogna ricorrere ad altri “orologi”. Oggi ne esistono diversi. Uno di questi, ad esempio, è il potassio – argo. Anche il potassio -40 è un elemento radioattivo che si trova sia nella materia organica che in quella inorganica, e che si trasforma – secondo una velocità di decadimento costante – in un gas raro, l’argo. Per misurare, ad esempio, l’età di un campione di roccia, bisogna determinare la quantità di argo in esso presente ( isolandolo sotto vuoto, naturalmente, per evitare che i risultati siano alterati dall’argo contenuto nell’aria). Si ottengono, insomma, date (approssimative) dell’ordine delle migliaia di anni (con il radiocarbonio) o dei milioni di anni (con il potassio – argo), ma si tenga presente che è sempre possibile un certo margine di errore, perché il reperto può facilmente essere “contaminato”. Ricordo un buffo episodio avvenuto a Thapsos, parecchi anni fa: nel corso degli scavi era affiorata una bellissima coppa dello stile tipico di questa cultura. Ma era già il tramonto, e non si potevano effettuare le consuete operazioni preliminari che precedono il prelievo di un reperto archeologico (foto, disegni, individuazione della sua esatta collocazione stratigrafica ecc.) e si decise di rinviare il tutto al giorno successivo. Ma quella stessa sera una mucca – ce n’erano parecchie, a Thapsos, libere di pascolare dovunque – si fermò proprio su quella coppa, e senza riguardo alcuno per l’archeologia e l’antichità del reperto … la riempì di letame. Inutile aggiungere che la coppa preistorica (età presumibile 1400 a. C.) ne fu straordinariamente “ringiovanita” e non poté essere sottoposta all’esame del radiocarbonio.
Un altro sistema di datazione è la termoluminescenza: serve per datare manufatti litici quando essi contengono minerali a struttura cristallina e sono stati posti, all’epoca della loro fabbricazione, a contatto con il fuoco. Per conoscere la loro età, li si riscalda nuovamente, in modo che essi emettano degli elettroni che oggi, grazie a sofisticati strumenti, è possibile misurare.
Altri sistemi di datazione sono gli “orologi molecolari” fondati sullo studio di specie affini (ad esempio, uomo e scimpanzé): se due specie presentano molte somiglianze nel loro DNA, vuol dire che discendono da un antenato comune e che si sono separate in un’epoca relativamente recente (si tratta sempre di alcuni milioni di anni); se invece presentano molte differenze, pur mantenendo caratteri comuni, vuol dire che si sono differenziate in età molto antica e si sono evolute in modo autonomo, in modo tale che il loro DNA ha accumulato un certo numero di mutazioni e si è diversificato in modo notevole. L’uomo e lo scimpanzé, ad esempio, hanno un DNA uguale al 99%. Questo significa che discendono da un antenato comune e che si sono separati non più di 4 milioni e mezzo di anni fa: la specie umana, insomma, è abbastanza giovane.
Anche lo studio del magnetismo terrestre, o meglio, del paleomagnetismo (cioè del magnetismo terrestre antico) fornisce indizi utili alla datazione dei fossili. Come è noto, la terra è un magnete che ha un polo positivo ( che coincide, grosso modo, con il Polo Nord) e uno negativo (il Polo Sud). Nel corso di milioni e milioni di anni la polarità terrestre – per cause che non è il caso di affrontare qui – si è più volte invertita: il Polo Nord è diventato negativo e, viceversa, quello Sud positivo. Le rocce di origine vulcanica serbano tracce indelebili di questi eventi: studiando l’allineamento dei cristalli magnetici nelle rocce, i geologi sono in grado di dire se esse risalgono a un’epoca di polarità “normale” o inversa, e – datando le rocce col potassio – argo – in quale periodo si sono formate. Lucy, ad esempio, il fossile più famoso del mondo, era “incastrata” in una roccia risalente al periodo inverso di Gilbert, databile a 3 milioni e 700.000 anni fa.
Per quanto riguarda, invece, il modo di vivere degli uomini preistorici, può risultare utile (anche se da utilizzare con cautela) lo studio delle società “primitive” odierne (esistono ancora tribù isolate che vivono come nell’età della pietra), cioè l’ausilio dell’antropologia, e l’analisi dei miti delle origini, presenti in tutti i popoli del mondo. Ovviamente, non si tratta di prestar fede ai racconti mitici, considerandoli come “storia” seppur romanzata: i miti mescolano insieme memorie di epoche diverse, usano un loro particolare linguaggio. Vanno interpretati, insomma. Ma, ad uno studio attento, rivelano molto della società che li ha creati e del suo rapporto con un remoto passato, rapporto fatto di tradizioni orali antiche di millenni. Ad esempio, molto significativo è il mito di Prometeo, l’eroe civilizzatore dei Greci: è il dono del fuoco, prerogativa rubata agli dei, a dare l’avvio al processo di civilizzazione dell’uomo, insomma, a rendere uomo l’uomo, prima in balia delle forze naturali, e a fornirgli il primo dei suoi “mezzi di produzione”.

IL PALEOLITICO: CARATTERI GENERALI
Il Paleolitico si divide in Inferiore, Medio e Superiore.
Il PALEOLITICO INFERIORE è un periodo lunghissimo, il più lungo della storia umana. Esso inizia con la comparsa dell’uomo, oltre due milioni di anni fa. Ma stabilire con sicurezza quale, tra le numerose specie di ominidi che si aggiravano nelle savane dell’Africa (culla dell’umanità), può essere davvero definito Homo, è impresa difficile e dibattuta. Indizio significativo di “umanità” sembra la costruzione di strumenti: ciottoli grossolanamente scheggiati (Pebble Cuture, la cultura del ciottolo) consentivano ai nostri lontani antenati di fare molto più di ciò che è possibile fare a mani nude. Autore della Pebble Culture suole essere considerato Homo abilis ( oppure Homo Ergaster, specie un po’ più evoluta). Dato che i fossili più significativi sono stati scoperti nella gola di Olduvai, in Africa, questo periodo prende il nome di Olduvaiano. Ad esso succede l’Acheuleano, 750.000 anni fa, il cui protagonista è una specie ancora più evoluta, l’Homo Erectus, sicuramente in grado di usare il fuoco (magari scoperto in natura, mediante un incendio provocato da un fulmine, o sotto forma di lava durante un’eruzione vulcanica) per riscaldarsi e difendersi dai predatori. Il fuoco, del resto, era indispensabile alla sopravvivenza. Il Paleolitico inferiore si sviluppa nel periodo delle grandi glaciazioni pleistoceniche ( Günz, Mindel,Riss) intervallate da fasi interglaciali che avevano la durata di decine di migliaia di anni: si alternavano periodi di clima freddo e periodi di clima caldo (anche se in Africa, data la sua latitudine, il clima non raggiunse mai i rigori, ad esempio, del Nord Europa). Tracce di rudimentali focolari, risalenti a 500.000 mila anni fa, all’epoca, cioè, della glaciazione di Mindel, sono stati scoperti in Cina, Francia e Ungheria. Comunque, malgrado le difficoltà ambientali, l’uomo comincia ad espandersi dovunque (vi sono tracce di Homo Erectus, risalenti a 850/750.000 mila anni fa in Asia, a Giava e in Cina, e in Europa, in Francia e in Ungheria).
Homo Erectus vive in caverne o ripari sotto roccia, si nutre di prodotti spontanei, della carne degli animali che trova già morti (non è ancora in grado di cacciare), del loro midollo osseo (particolarmente nutriente) che la cottura al fuoco rende più gustosi e morbidi. Per tagliare le parti commestibili dalle carcasse, per spezzarne le ossa e ricavarne il midollo, per colpire piccola selvaggina o scavare focolari si serve di strumenti di pietra scheggiata (selce o quarzite, per lo più) detti amigdale perché hanno la forma di una mandorla. Comunque, Homo Erectus è ancora molto primitivo: il suo cervello va dai 900 cm³ (i resti più antichi) ai 1.100 dei resti più evoluti (quello dell’uomo moderno si aggira, mediamente, sui 1300 cm³). Non pratica il culto dei morti, non manifesta bisogni estetici o spirituali. E’ in grado di parlare, ma non possiamo sapere se e in che modo abbia elaborato un suo linguaggio.
Nell’interglaciale Riss – Würm (periodo lunghissimo: 80.000 anni) i resti e le tracce di presenza umana diventano scarsissimi. Evidentemente solo pochi Erectus sono riusciti a sopravvivere. Nel corso dell’ultima glaciazione, quella di Würm, fa la sua apparizione una nuova e più progredita specie umana, L’Homo Neanderthalensis (così chiamato perché i suoi resti furono trovati nella valle di Neander, in Germania: ma parecchi studiosi lo considerano una primitiva specie di Homo Sapiens), che diventa il protagonista assoluto del PALEOLITICO MEDIO e dà vita ad una nuova cultura, detta musteriana (dal sito francese di Le Moustier). L’uomo di Neanderthal è alto poco più di un metro e mezzo, ha una corporatura molto robusta ed un’intelligenza notevole (capacità cranica addirittura superiore alla nostra: 1500 cm³). Non si limita a costruire strumenti utili (comunque molto più “raffinati” ed efficaci: lance costituite da schegge rese appuntite e montate su aste di legno, raschiatoi per lavorare le pelli), ma evidenzia anche una certa preoccupazione estetica (collane di conchiglie, ad esempio); si prende cura dei malati (come dimostra lo scheletro di un cinquantenne affetto da artrite: non sarebbe sopravvissuto fino a un’età così avanzata – per quell’epoca – senza il sostegno del gruppo) e dei morti (in una sepoltura in Irak sono stati trovati i pollini fossili di fiori – achillee e fiordalisi- ); è capace di confezionare indumenti ed ha uno spiccato senso della socialità. Nomade in estate, vive nelle grotte in inverno, accanto a focolari dove il fuoco è mantenuto sempre acceso. Vive di cibi vegetali, ma pratica anche la caccia. Il cavallo è tra le sue prede preferite. Circa 35.000 anni fa – dopo un certo periodo di convivenza con la più recente specie umana, quella del Sapiens Sapiens – l’uomo di Neanderthal scompare, per cause che sono tuttora oggetto di indagine e discussione tra gli studiosi (estinzione per cause naturali – malattie – o per selezione naturale – minore adattabilità all’ambiente – ? Sterminio da parte dell’Homo Sapiens Sapiens, o mescolanza tra le due specie? E, se individui di due specie diverse si sono accoppiati, i loro figli dovevano essere probabilmente sterili, come avviene di soliti per gli incroci. I geni del Sapiens Sapiens si sono comunque rivelati vincenti: noi ne siamo i discendenti. Con l’affermazione della moderna specie umana, ha inizio il PALEOLITICO SUPERIORE, tra i 40.000 e i 35.000 anni fa. Il salto di qualità a livello culturale è notevolissimo. La tecnica è più progredita (capacità di ricavare lame straordinariamente perfette da schegge di selce, fabbricazione di strumenti sempre più piccoli e precisi,come il bulino, arnese appuntito che serve ad incidere le ossa), caccia organizzata, effettuata in gruppo con armi più efficaci come arpioni ed archi, padronanza del fuoco data dalla capacità di riprodurlo; confezione di indumenti, affermazione di uno spiccato gusto artistico (pitture rupestri) e manifestazioni di una certa religiosità (culto dei morti ). L’uomo Sapiens Sapiens vive di caccia e di raccolta, e per questo motivo è nomade: segue cioè lo spostamento degli animali che, con il variare del clima, migrano alla ricerca di pascoli migliori. Questo provoca la diffusione della specie umana in tutto il mondo, dall’Asia, all’America, all’Australia.

Il testo da me prevalentemente utilizzato per questa sintesi è “Antiche civiltà e loro documenti” di Bontempelli – Bruni, Trevisini editore, Milano 1994, manuale di scuola superiore ma di livello decisamente superiore agli altri esistenti quando ancora la storia antica veniva insegnata a scuola, prima della calata dei barbari (prima Berlinguer, poi, soprattutto, la Moratti e i suoi epigoni).

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