IL NEOLITICO SICILIANO
La fase più antica del Neolitico siciliano è rappresentata dalla cultura di Stentinello, identificata nel 1890 da Paolo Orsi, dal nome del villaggio da lui scoperto a pochi km. da Siracusa.
La cultura di Stentinello non si presenta come l’evoluzione delle culture paleolitiche precedenti. Al contrario, essa è radicalmente diversa, apporto di genti nuove, venute dal vicino Oriente.
Prima grande novità è la ceramica, sconosciuta ai paleolitici: una ceramica bruna, dapprima di impasto grossolano eseguito a mano (il tornio è ancora ignoto), decorata a crudo con incisioni o impressioni praticate con le unghie, o con punzoni, o con l’orlo del guscio di conchiglie (il Cardium e il Pectunculus), poi, con l’andare del tempo, sempre più raffinata e artisticamente ornata. Caratteristici di questa decorazione di tipo geometrico (linee parallele, oblique, a zig zag, punti ecc.) sono i rombi, che rappresentano occhi stilizzati (in qualche esemplare più “naturalistico” sono segnate anche le ciglia) i quali costituiscono un motivo apotropaico (cioè una sorta di portafortuna, o meglio una difesa contro il malocchio, come i nostri cornetti rossi, anch’essi, peraltro,sopravvivenza preistorica,come vedremo in seguito). I vasi più antichi hanno prevalentemente forma aperta (hanno, cioè, l’apertura più grande del “corpo”), quelli più recenti hanno invece forme “chiuse”, cioè apertura più stretta. Particolarmente interessanti alcune raffigurazioni fittili (di argilla, cioè) di animali.
Per quanto riguarda l’industria litica, la selce e la quarzite (materiali quasi esclusivi dell’industria paleolitica) diventano più rare, fino ad essere soppiantate dall’ossidiana di Lipari (vetro vulcanico con il quale si ottenevano lame e arnesi taglientissimi), alla quale si affiancano il basalto e la pietra verde (se ne ricavavano accette). Le armi delle genti neolitiche sono più evolute: tra queste la fionda. Ma anche l’osso veniva lavorato.
Le novità più rilevanti, però, riguardano la scoperta di più efficaci mezzi di sussistenza: l’AGRICOLTURA e l’ALLEVAMENTO. L’uomo neolitico non vive più di caccia e di raccolta dei frutti spontanei. Non ha bisogno di spostarsi continuamente per cercare nuovi territori da sfruttare o per seguire i branchi di animali migranti verso nuovi pascoli. Ora è in grado di produrre da sé il cibo necessario. Da nomade diventa sedentario. Non abita più nelle caverne o nei ripari sotto roccia, ma costruisce capanne raccolte in villaggi, spesso fortificati mediante fossati e trincee, come quelli di Stentinello, di Megara Hyblaea, di Matrensa . Sviluppa la navigazione e il commercio per mare, attività che diventano meno rischiose dei primi audaci tentativi messi in atto dai paleolitici. Pratica una qualche forma di religione e il culto dei morti. Ce ne rimane un’unica rilevante testimonianza, la tomba di Calaforno presso Monterosso Almo: una fossa ovale, circondata e pavimentata con grosse lastre di pietra.
Come si diceva, l’origine di questa cultura a ceramica impressa va ricercata nel Vicino Oriente, cioè tra l’Anatolia meridionale e il nord della Siria (lì le testimonianze di essa sono più ricche e abbondanti che in qualsiasi altro luogo). Ma si tratta di un fenomeno di amplissima diffusione che si espande, nel corso della sua lunghissima durata, nell’intero antico continente, Asia, Europa ed Asia: in principio dall’ Anatolia (Turchia) passa alla Grecia e al resto della penisola balcanica, quindi all’Italia centro – meridionale (Puglia e Abruzzo) per via marittima. Ma i neolitici non dispongono ancora di navi sicure con le quali poter affrontare lunghe traversate. Il Canale d’Otranto costituisce un ostacolo serio: quindi la navigazione è ancora verosimilmente costiera. La diffusione avviene attraverso le isole: Leucade, Corfù, Malta, le Eolie, e infine l’Elba e la Corsica (non a caso, in questi luoghi si trovano numerose testimonianze di questa cultura).
Qui in Sicilia essa arriva tardi, quando nel paese d’origine è ormai in declino, e sta per essere soppiantata dalle nuove culture a ceramiche dipinte. Gli avventurosi neolitici che sono giunti fortunosamente nel Gargano (attraverso le isole croate di Lagosta e Cazza, quindi Pelagosa, Pianosa e le Tremiti) trovano un nuovo ostacolo nei monti della Calabria. Preferiscono, dunque, attraversare i più accessibili valichi dell’Appennino centrale per espandersi nelle regioni centro – settentrionali che si affacciano sul Tirreno, e da qui poi spingersi verso la Provenza.
Non è un caso se il neolitico siciliano a ceramica impressa appare per diversi aspetti più evoluto che altrove: i villaggi fortificati, le decorazioni più raffinate e complesse, la presenza di idoletti fittili e di alcuni esemplari di ceramica dipinta associati a quella tipica di Stentinello sono un chiaro indizio del fatto che il “nostro” neolitico è più tardo rispetto non solo a quello anatolico, ma a quello continentale italiano.
Questo ci fornisce elementi utili per la datazione: nel Vicino Oriente la cultura a ceramica impressa viene soppiantata da una nuova cultura a ceramica dipinta (culture di Samarra e di Tell Halaf in Mesopotamia) all’inizio del IV millennio a. C. Quindi la diffusione della cultura a ceramica impressa nella penisola balcanica e in Italia deve essere iniziata prima che nella sede originaria cominciasse il suo declino ( cioè nel corso del V millennio), ma,dato che la cultura di Stentinello appare più evoluta rispetto alle altre a ceramica impressa dell’ Italia meridionale, possiamo supporre che essa si affermi più tardi qui in Sicilia, quando altrove già cominciavano ad espandersi le nuove culture a ceramica dipinta, dalla Mesopotamia alla Siria e all’Anatolia, quindi alla Grecia centrale (cultura di Sesklo), e da qui all’Italia meridionale, alle Eolie e infine alla Sicilia.
La seconda ondata di culture neolitiche a ceramica dipinta rappresenta una fase di notevole progresso rispetto al passato: oltre alla ceramica, nella quale si evidenzia un più raffinato gusto artistico, e ai numerosi idoletti fittili, che testimoniano un diffuso senso religioso, si comincia a praticare la lavorazione dei metalli (fusione del rame); anche la navigazione diventa meno rischiosa, grazie alla costruzione di imbarcazioni più efficienti.
Questa seconda ondata di culture neolitiche a ceramiche dipinte viene distinta, nella Grecia centrale (regione che influenza in modo particolare l’Italia e la Sicilia) in tre fasi successive, che trovano una precisa corrispondenza nel neolitico pugliese, lucano e abruzzese: una prima fase caratterizzata da ceramica dipinta a due colori, una seconda dipinta a tre colori, con motivi meandro – spiralici, una terza decorata con incrostazioni di colore bianco.
Una analoga successione – che ci offre la possibilità di stabilire una cronologia relativa – può essere riscontrata negli scavi di Lipari ( effettuati da Bernabò Brea, massimo studioso della preistoria siciliana e autore del testo da cui sono tratti questi appunti ). Le isole Eolie, grazie alla lavorazione e al commercio della pregiatissima ossidiana, eruttata dai crateri vulcanici di Lipari (Forgia Vecchia e Monte Pelato), avevano raggiunto nel neolitico un livello elevatissimo di ricchezza e di progresso.
A Castellaro Vecchio, presso Quattropani, gli scavi hanno portato alla luce lo strato più antico (primo periodo del neolitico eoliano): vi abbondano le ceramiche impresse dello stile di Stentinello, ma vi sono presenti anche esemplari di ceramica dipinta a due colori e pochi frammenti di quella a tre colori (bande rosse marginate in nero). A un certo punto non si trovano più tracce di frequentazione umana: il sito, evidentemente, viene abbandonato.
La vita ora si sposta sul Castello di Lipari, che – per nostra fortuna – è una sorta di tell, cioè una piccola altura formata dai depositi degli abitati che si sono succeduti nelle varie epoche. Nello strato più antico, quello più in basso, che poggia direttamente sulla roccia (secondo periodo del neolitico eoliano), la ceramica impressa è rara, quasi scomparsa. Vi è invece presente quella dipinta a bande rosse marginate di nero (dello “stile di Capri”, così chiamata perché a Capri ne sono state rinvenute le prime testimonianze numerose e significative) insieme ad una ceramica (piccole olle sferoidali con un orlo basso,e verticale) grigia o nera, lucida e levigata, di fattura raffinata, per lo più inornata, o decorata sobriamente con dei graffiti a volte sottolineati in rosso ocra. Troviamo anche un terzo tipo di ceramica con decorazione incisa in cui è presente, per la prima volta, il motivo del meandro e della spirale. In questo strato sono stati anche rinvenuti un idoletto fittile, e abbondantissimi frammenti di ossidiana (oggetti e scarti della lavorazione), mentre gli strumenti di selce – importati – sono ormai una vera rarità.
Nel secondo strato a partire dal basso – ovviamente più recente del precedente : terzo periodo del neolitico eoliano – troviamo una ceramica ornata con il motivo del “tremolo” o con decorazioni meandro spiraliche che caratterizzano anche le anse (i “manici”) complicatissime, costituite da nastri tubolari di argilla ripiegati e avvolti su se stessi ( questo stile è detto di “Serra d’Alto” dalla località in cui è stato scoperto, in Lucania, il villaggio più rappresentativo di questa facies culturale). Vi sono presenti anche alcuni sigilli fittili a forma di timbro, chiamati pintadere (con nome spagnolo) perché sono stati rinvenuti in abbondanza nella penisola iberica.
Lo strato successivo (quarto periodo del neolitico eoliano) ha uno spessore sottile, sul Castello di Lipari, il che significa che il villaggio ha breve durata. Nei reperti ceramici risulta evidente un cambiamento di gusto: scompare lo stile eccessivamente adorno di Serra d’Alto, e si diffonde una ceramica monocroma rossa (monos = solo, chroma= colore, cioè di un solo colore), con anse piccole, costituite da semplici nastri tubolari o a forma di rocchetto. Una novità rilevante è costituita dal rinvenimento di scorie di fusione del rame: a quest’epoca la metallurgia è già nota nelle Eolie.
Ma il villaggio sul Castello viene presto abbandonato, soppiantato da un altro, molto più sviluppato, ai piedi dell’acropoli, nella contrada di Diana (da cui prende il nome la ceramica monocroma rossa). Qui i reperti archeologici sono molto ricchi e abbondanti, e attestano il trapasso graduale dallo stile di Serra d’Alto a quello di Diana. Nello strato più alto, infine, l’ultimo in ordine cronologico, si nota una certa decadenza nel gusto artistico e nella fattura dei vasi, grigiastri o violacei. Il neolitico eoliano ha probabilmente chiuso la sua fase creativa.
Se ci siamo tanto soffermati sul neolitico delle Eolie , che apparentemente sembra “fuori tema” o marginale rispetto all’argomento di cui ci occupiamo, c’è un preciso, e non secondario, motivo: In Sicilia sono state trovate testimonianze degli stili fin qui descritti, ma in modo sparso, isolate, piuttosto rare: se non conoscessimo l’evoluzione delle culture neolitiche grazie alla stratigrafia di Lipari, non avremmo nessun elemento per delineare l’evoluzione del neolitico siciliano; il quale, come appare chiaro, è identico a quello di Lipari, e non solo: anche in Italia meridionale troviamo la stessa successione di facies culturali. E persino a Malta, nel periodo in cui fiorisce la sua straordinaria architettura megalitica, è presente ceramica rossa dello stile di Diana. Ma, più in generale, questa evoluzione e successione di culture che presenta caratteri simili dappertutto ha – come sempre – origine in Oriente, nell’area egeo – anatolica, da cui si irradia in tutto il bacino del Mediterraneo, mentre invece l’Italia settentrionale è influenzata dal neolitico settentrionale (culture danubiane).