Lezione U.P.G.C. La Sicilia nella preistoria: il Paleolitico

LA SICILIA NELLA PREISTORIA

Nelle fasi più antiche del Pleistocene (1), quando altrove fioriva la civiltà della “Pietra Antica” ( Paleolitico inferiore e medio) sembra che la Sicilia non fosse abitata da esseri umani (2).Nei siti archeologici più antichi, gli strati “culturali” (quelli, cioè, in cui si trovano manufatti dell’uomo) sono sovrapposti a strati argillosi più antichi, in cui non c’è traccia di presenza umana. Questi strati di argilla, che risalgono alla fase più antica della glaciazione di Wurm, sono invece ricchi di resti fossili di animali. Si tratta di una fauna tipica dei climi caldi (grazie alla sua posizione geografica , la Sicilia non conobbe mai un clima veramente freddo, neanche durante la glaciazione): grandi pachidermi, leoni, specie primitive di iene, ghiri, cinghiali e una specie di equide zebrato, l’equus hydruntinus (cavallo d’Otranto) ecc. La specie più caratteristica e singolare era però quella degli elefanti nani (3), specie diffusa in diverse isole del Mediterraneo (Sardegna, Cipro, Malta alla quale la Sicilia a quel tempo era collegata) i cui resti ossei, in particolare quelli del cranio, potrebbero costituire l’origine del mito dei Ciclopi: la cavità della proboscide sarebbe stata scambiata, dai nostri antichi antenati delle epoche successive, per cavità oculare, di un unico grande occhio in mezzo alla fronte.
Quando l’uomo fece la sua prima apparizione in Sicilia, nel Paleolitico superiore, all’incirca 30.000 anni fa, la glaciazione di Würm era già in una fase avanzata. Il clima della Sicilia era più piovoso che freddo. Comunque la fauna tipica dei climi caldi – ad eccezione dell’equus hydruntinus) – era scomparsa da millenni e sostituita da una fauna più tipica dei climi moderati; l’uomo di Neanderthal era già da tempo estinto, e il nostro diretto avo, l’Homo Sapiens Sapiens si era diffuso in Europa, dando vita a culture litiche (4) più evolute: a una di queste, cioè all’Aurignaziano avanzato risalgono le tracce più antiche fino ad ora scoperte in Sicilia, nel sito di Fontana Nuova, presso Marina di Ragusa. Ma la maggior parte dei siti e dei reperti noti risalgono a una fase ancor più avanzata del Paleolitico Superiore (5), cioè al Gravettiano ( tombe di S. Teodoro, presso Milazzo), facies culturale caratterizzata dall’industria microlitica (cioè dalla produzione di strumenti di pietra di piccole dimensioni – dal greco “mikros” piccolo e “lithos” pietra -).
Non ci dilungheremo qui a ad elencare la distribuzione topografica dei siti (basta dire che la maggior parte di essi è prevalentemente costiera), né a descrivere minuziosamente i reperti litici ( sarebbe un discorso troppo tecnico). Ci limiteremo, invece, a citare le cinque tombe di S. Teodoro, unico esempio, in Italia, insieme a quelle liguri dei Balzi Rossi e delle Arene Candide, di sepolture paleolitiche. Si tratta di semplici fosse, nelle quali erano deposti i corpi, supini e con le braccia distese lungo i fianchi (ad eccezione di uno, che aveva una mano accanto alla testa). Intorno ad essi, il corredo funebre: una collana di denti di cervo, un pezzo del corno di un cervo, dei ciottoli levigati. Sulle tombe era sparso uno strato di ocra rossa macinata: il rosso, simbolo della vita, è un probabile indizio della credenza in una vita ultraterrena.
Ma i reperti più significativi del Paleolitico Siciliano sono costituiti da due serie di raffigurazioni rupestri, alcune incise, altre dipinte,scoperte verso la metà del secolo scorso, la prima in una grotta di Cala dei Genovesi, nell’isola di Levanzo (Egadi), la seconda all’Addaura, vicino Palermo. A quel tempo, nel Paleolitico superiore cioè, Levanzo, come la vicina Favignana dovevano essere unite alla Sicilia, e la grotta doveva essere più accessibile di quanto non lo sia oggi ( la grotta, che si affaccia su una caletta rocciosa, è raggiungibile per mezzo di una barca, quando il mare è perfettamente calmo, oppure attraverso un lungo e accidentato percorso campestre). Vale comunque la pena di affrontare qualche disagio per vedere uno tra gli esempi più rilevanti e pressoché unici dell’arte paleolitica in Italia (v. figure 1 e 2) . Le figure, tracciate sulla parete interna della grotta, furono eseguite in epoca diversa, da autori differenti, con tecniche diverse: parte incise, parte dipinte in rosso e in nero. Il primo gruppo – il più antico, sicuramente databile alla cultura gravettiana e associabile ai reperti litici scoperti nella grotta – è costituito prevalentemente da figure di animali, di cui viene inciso il profilo (senza dettagli anatomici) con tratto sicuro ed esperto, in modo naturalistico ed artisticamente efficace. Vi possiamo riconoscere una fauna tipica dei climi freddi (glaciazione di Würm): cervi, bovidi (Bos primigenius) e l’Equus hydruntinus, equide che – insieme ai crostacei e ai frutti di mare come la Patella ferruginea- doveva costituire uno dei piatti forti nella dieta dei nostri lontani antenati, a giudicare dall’abbondanza dei resti ossei che se ne sono rinvenuti tra gli avanzi di pasto.
Le figure dipinte, invece, sono schematiche, geometrizzanti, lontanissime dal vivace naturalismo di quelle incise. Sono prevalentemente figure antropomorfe di colore nero accostabili agli idoletti stilizzati diffusi nel Mediterraneo durante il neolitico: l’esempio più noto è quello degli idoli cicladici (v. figura a) a forma di violino, di bottiglia, ecc.
Una sorta di collegamento tra le figure del primo e quelle del secondo gruppo è costituita da tre immagini di uomini danzanti, uno dei quali barbuto, stilizzate come quelle delle figure dipinte, ma, al contrario di queste, incise; e da un’altra figura antropomorfa, dipinta in rosso, ma più naturalistica e più simile alle figure graffite (v. figura 3). Questa seconda serie di raffigurazioni è sicuramente di epoca più tarda rispetto alla prima: sulla base delle somiglianze con le pitture e le sculture rinvenute nelle Cicladi, a Troia e a Creta, il Graziosi – eminente studioso di preistoria e della grotta di Levanzo in particolare – ritiene che esse debbano essere datate alla prima fase età del bronzo.
Più complesse e interessanti le raffigurazioni scoperte dalla Marconi Bovio nella grotta dell’Addaura, sulle pendici settentrionali del Monte Pellegrino ( vedifig.4). Qui non troviamo più in prevalenza immagini di animali, o figure umane isolate, bensì gruppi in cui gli uomini interagiscono tra loro. Ma procediamo con ordine.
Il primo gruppo è costituito da figure umane (tra cui una donna incinta con un grosso fardello sulle spalle) e animali incise con mano sicura e leggera, poco marcate e apparentemente non legate tra loro da alcuna connessione. Uno degli uomini ha sul viso una strana maschera da uccello (per la celebrazione di un rito a noi ignoto?)
Le figure del secondo gruppo, più fortemente incise, rappresentano una scena complessa che è stata oggetto di varie discussioni e diverse interpretazioni. Dieci uomini nudi danzano in cerchio attorno a due figure maschili giacenti, presumibilmente uno accanto all’altro (in realtà uno sopra l’altro, ma ciò è dovuto alla mancanza di prospettiva, sconosciuta – ovviamente – agli artisti paleolitici) e apparentemente costretti in una posizione innaturale (li si direbbe, con termine moderno, “incaprettati”). Altri uomini assistono alla scena. Uno accorre portando una lunga asta. Poco distante, in basso, un grosso daino. Gli uomini sono rappresentati in modo naturalistico, ma senza dettagli anatomici (né piedi, né mani, né i tratti del viso). Sembrano dotati di folte e lunghe capigliature, e alcuni portano una strana maschera a forma di testa di uccello. Secondo alcuni studiosi (Blanc, Chiappella) si tratta di una macabra scena raffigurante un supplizio o un sacrificio umano. Secondo altri (la Marconi, scopritrice delle raffigurazioni) si tratterebbe, invece, di un rito di iniziazione sessuale (dato che gli attributi sessuali maschili sono rappresentati con una certa attenzione).
Due figure di bovidi, isolate e tracciate con mano pesante, piuttosto rozze e approssimative costituiscono un terzo gruppo, di livello artistico decisamente inferiore.
Altre raffigurazioni rupestri, simili a quelle dell’isola di Levanzo, sono state scoperte anche nella grotta Niscemi, sulle pendici orientali del Monte Pellegrino: anche qui troviamo vivaci figure di animali, tra cui spiccano, con la loro corporatura massiccia e le zampe corte e sottili alcuni bovidi, e poi il solito equus hydruntinus con la sua criniera a spazzola che lo fa rassomigliare a una zebra.

In Sicilia è difficile dire se e quando dal Paleolitico Superiore si passò al Mesolitico (letteralmente: età della pietra di mezzo). Probabilmente qui – a giudicare dai resti di industria gravettiana associati a frammenti di ceramica e di ossidiana, elementi, questi, tipicamente neolitici – il Paleolitico si è prolungato fino all’arrivo sull’isola di genti nuove, portatrici della cultura neolitica (= della pietra nuova) e provenienti, probabilmente, dal Mediterraneo orientale.

NOTE
Premessa:Il presente testo è una breve sintesi del 1° capitolo de “La Sicilia prima dei Greci” del grande Bernabò Brea, massimo studioso della preistoria siciliana (e non solo), ed. Il Saggiatore 1958, Milano. Anche le foto e le immagini da me utilizzate sono tratte dal medesimo testo.
1) Il Pleistocene è il penultimo dei grandi periodi in cui si divide l’era Quaternaria o Neozoica, la più recente delle ere geologiche. Esso inizia, grosso modo, due milioni anni fa ed è caratterizzato dal susseguirsi di glaciazioni e fasi interglaciali, dalla comparsa – e dalla estinzione – di varie specie di ominidi e di homo. Segue l’Olocene, che ha inizio circa 11.000 anni fa e che dura tuttora.
2) Sono assai controverse – e non mi sembra questa la sede per discuterne – le tesi del Bianchini, che avrebbe scoperto, a Capo Rossello, nell’agrigentino, ciottoli scheggiati classificabili come espressione della “Pebble Culture” (cultura del ciottolo) tipica delle fasi più remote del Paleolitico Inferiore.
3)Il nanismo di specie solitamente grandi – l’elefante nano, non maggiore di un cane di grossa taglia, discendeva da un gigantesco elefante preistorico, alto più di 5 metri!) si verifica in presenza di determinate condizioni: l’isolamento geografico, che impedisce il contatto con gli individui della specie originaria, e l’assenza di pericolosi predatori, che rende meno conveniente avere una grande massa corporea. Per questo motivo gli elefanti nani – o meglio, i loro resti fossili – si trovano in diverse isole del Mediterraneo, come Creta,Cipro e Malta, oltre alla Sicilia. (4) Il termine “cultura” non viene usato qui nella sua accezione più comune. In campo archeologico si definisce “cultura” l’insieme dei resti materiali (ceramica, abitazioni, strumenti litici o metallici, avanzi di pasto ecc.) che contribuiscono a definire e a caratterizzare una fase storica in un luogo determinato, permettendoci di ricostruire in qualche modo il modo di vivere e l’organizzazione sociale degli uomini che ne furono portatori. E’, insomma, in un certo senso, sinonimo di “civiltà”.Una cultura può presentare modi o aspetti diversi: in questo caso si parla di facies culturali. Quando invece si dispone di dati parziali, ad esempio, di strumenti litici soltanto (il che avviene per le epoche più antiche) si preferisce usare il termine “industria”. Infine, si badi bene: quando si parla di cultura di Stentinello, o di Thapsos, o altro, si parla del modo di vivere, dell’organizzazione sociale, delle tecniche e del modo di costruire strumenti ecc. che caratterizza un dato periodo della preistoria siciliana. Non si fa riferimento ad un popolo determinato: ricostruire le identità etniche degli uomini di Stentinello, o di Thapsos, è estremamente difficile e complicato. Insomma, non possiamo parlare di Siculi (come faceva Paolo Orsi, che chiamava “periodi siculi 1°, 2° ecc. le varie culture preistoriche siciliane), né di Sicani, né di Lestrigoni (come facevano gli storici antichi).
5) Si suole dividere il Paleolitico (età della pietra antica) in Inferiore, Medio e Superiore. A loro volta, questi periodi sono ulteriormente suddivisi in varie fasi, che prendono il nome – di solito – dal sito in cui è stata scoperta l’industria litica più tipica del periodo. L’ Aurignaziano (dal sito di Aurignac, in Francia) è una cultura del Paleolitico Superiore datata tra i 40.000 e i 30.000 anni fa e caratterizzata da una notevole industria litica (lame dal contorno sinuoso, grattatoi, bulini ecc.) nonché da rilevanti manifestazioni artistiche. Il Gravettiano (dal sito di La Gravette, nella Francia meridionale) è una fase più recente ( dai 29.000 ai 20.000 anni fa) caratterizzata, oltre che da una più raffinata industria litica (cioè dalla fabbricazione di microliti, strumenti di piccole dimensioni), dall’uso di lance di osso e dalla diffusione di piccole immagini femminili dette “le veneri”.

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