Sul declino degli studi classici

Sul declino degli studi classici
Su Repubblica del 30 settembre è stato pubblicato un articolo del professore Bartezzaghi e una brevissima intervista al professore Canfora a proposito del “crollo” delle iscrizioni al liceo classico. Il primo ha esposto – in maniera un po’ “timida” e riduttiva, a mio parere – le ragioni di questa “fuga dalla cultura umanistica”; al secondo si è concesso pochissimo spazio. Magari fosse stato pubblicata una sua analisi complessiva della situazione, approfondita e documentata come sono di solito i suoi scritti.
Che le iscrizioni al classico diminuiscano non è, in sé, un fatto negativo. Gli studi classici sono per natura elitari, e riservati agli appassionati. Come la musica, o l’arte. Finalmente genitori insensati smetteranno di costringere figli riluttanti a imparare a memoria nozioni ostiche, perché estranee ai loro reali interessi. Finalmente! Però … il problema non è l’addio a Tacito o a Cicerone (o a Omero, o a Tucidide). Il problema è ben più complesso, e riguarda il modello di cultura che si intende trasmettere alle giovani generazioni (e che riguarda, più in generale, il modello di società che si intende costruire).
Checché se ne dica, il liceo gentiliano era una scuola di eccellenza, decisamente superiore ai modelli di scuola di altri paesi da noi stupidamente considerati “più avanzati” e civili (1). Sarebbe stato sufficiente introdurre piccole modifiche (incremento delle materie scientifiche e di UNA lingua straniera), fare di tutto perché questo indirizzo di studi fosse accessibile a chiunque avesse propensione e interesse autentico per il classico, a prescindere dall’estrazione sociale … E invece no. Da venti anni circa si è iniziato a smantellare con pervicacia il modello di cultura umanistica, per sostituirlo con un altro, scopiazzato soprattutto dalla scuola americana e dalla cultura anglosassone. Caratteristiche fondamentali di questo modello sono:
- L’ignoranza più crassa e totale del passato, anche di quello recente (2), la distruzione sistematica e totale del sapere storico. Ai ragazzi viene sistematicamente impedito di acquisire due categorie fondamentali del pensiero umano (di quello evoluto, almeno): il tempo e lo spazio (perché anche la geografia è stata di fatto eliminata dai programmi scolastici)
- Insieme alla conoscenza e alla riflessione sul passato viene radicalmente minato il pensiero critico, la consapevolezza delle nostre e delle altrui radici, la capacità di organizzare le proprie conoscenze in un insieme organico e sistematico, la capacità di “leggere” i fenomeni del nostro tempo , e, in sintesi, anche la “virtù” politica (non a caso i Greci e i Latini consideravano lo studio della storia come una forma di prosecuzione dell’attività politica). Al sapere storico, necessariamente problematico e relativo, si sostituiscono le certezze “assolute” di un (presunto) sapere tecnico – scientifico, fatto di nozioni indiscutibili: vedi la mania dei test (spesso non esenti da sciocchezze madornali) in cui la risposta “giusta” è una sola – tertium non datur – come preteso strumento di selezione dei “migliori” (cioè, il più delle volte, di persone che hanno come virtù principale un’eccellente memoria, insomma degli “enciclopedici ignoranti”)
- L’ignoranza generalizzata della lingua italiana, causa principale dell’impossibilità, per i docenti di lingue vive e di lingue morte, di esercitare il loro mestiere: non può apprendere nessuna lingua, né antica né moderna, chi non possiede una lingua madre. Quindi è inevitabile la decadenza del latino e del greco (come si possono insegnare la consecutio o gli aspetti verbali del greco a chi non sa usare, o più spesso ignora del tutto i verbi italiani ? ) Non è una questione di metodo, e sono ridicolmente inefficaci quei (sedicenti) metodi “moderni” e “facili” con i quali si pretende di “rinnovare” la didattica del greco o del latino. Si può forse imparare a suonare Mozart o Beethoven in modo facile, senza fatica? Non ha senso la ricerca del facile e del piacevole. E’ la passione a far superare gli ostacoli, a spingere a ulteriori conquiste in un percorso difficile. Non si possono leggere i tragici, né i filosofi, né i grandi del passato, senza un lungo studio e un paziente esercizio. Ne vale la pena. Ma è ugualmente impossibile imparare una lingua moderna in modo decente, senza studiare il funzionamento di un codice differente e senza “trasferirsi” – con studio e fatica – in un universo mentale e in un contesto diversi dai nostri (a meno che il “modello” di riferimento non sia costituito dai nostri politici, che sfidano impavidi il ridicolo ogni volta che dicono due parole in inglese). Le responsabilità di questo degrado sono equamente divise tra destra e sinistra. Particolarmente colpevoli una certa pseudocultura progressista, residuato del peggio degli anni Settanta (Marx, però, leggeva tranquillamente in lingua originale Democrito e Appiano !) e certi “luminari” della linguistica, i quali, scambiando il mondo della scuola reale con il piccolo orticello delle loro ricerche universitarie, hanno tuonato per decenni contro l’insegnamento della grammatica. Il risultato è sotto gli occhi di tutti.
- La superficialità, l’approssimazione, la ricerca del “moderno” a tutti i costi, il fastidio per “l’antico” : se, ad esempio, un docente – gufo pensa di mettere in scena con gli studenti una tragedia greca, bisogna“mescolarla”con una riscrittura moderna dello stesso dramma, ad esempio “contaminando” l’Antigone di Sofocle con quella di Anouilh: risultato inevitabile, un mostriciattolo privo di senso. Ma perché mai a un ragazzo di diciassette o diciotto anni dovrebbe risultare più comprensibile la problematica di un intellettuale vissuto nella Francia collaborazionista degli anni ’40, rispetto a quella dell’Atene classica? Il passato è una poltiglia uniforme, ai suoi occhi, senza sostanziale differenza tra un passato recentissimo e uno remoto di millenni.
La catastrofe della scuola non è iniziata con i ministri berlusconiani. Essi hanno solo completato l’opera di devastazione efficacemente iniziata da Berlinguer: la diversa distribuzione dei periodi storici da studiare nell’arco del biennio e poi del triennio, con la motivazione (illusoria) di attribuire maggiore importanza alla storia contemporanea ha, di fatto, azzerato tout court l’insegnamento della storia intera. Perché essa, come la natura, non “fa salti”, e non è possibile insegnare a bambini provenienti dalla media, in soli due anni, neanche per cenni essenziali, oltre tre millenni di storia (se si esclude la preistoria), cioè dalle grandi civiltà orientali ai Comuni. Ma, soprattutto, gli adolescenti non possiedono i “pre –requisiti”mentali, e bisogna aiutarli a conquistarseli. L’insegnamento della storia è il più faticoso, lungo e difficile in assoluto. Il biennio gentiliano prevedeva solo la storia antica (due ore settimanali, e altre due ore per la geografia dei continenti extraeuropei), e di fatto costituiva un’ indispensabile operazione propedeutica allo studio successivo: acquisizione delle categorie spazio – temporali, logiche (causa – effetto), abitudine alla problematicità e all’indagine “scientifica” (analisi delle fonti), apprendimento di uno schema cronologico generale in cui inserire eventi e personaggi erano premesse indispensabili allo studio delle epoche più recenti. Ora si insegna “geostoria” in sole tre ore settimanali: preistoria, storia antica e medioevale in uno strano cocktail con nozioni elementari di geologia e geografia: il risultato è un guazzabuglio mentale di cui i ragazzi non sono certo i principali responsabili. Poi ci si scandalizza o si ride delle “perle”dei nostri maturandi.
Con la Moratti e la Gelmini, è stata la catastrofe: l’assurda frammentazione delle cattedre ha comportato una folle parcellizzazione del sapere, ostacolando, negli adolescenti, l’acquisizione di ogni capacità di sintesi e di organizzazione di ciò che hanno appreso. Poi è venuta la “buona scuola” di Renzi e della sua ministra (di cui non ricordo nemmeno il nome: ricordo solo una sua esortazione – degna di Maria Antonietta – all’utilizzo del tablet, nel corso di una sua visita a Catania, agli alunni di una scuola – ghetto, che spesso non sono in grado nemmeno di comprare i libri): dopo di loro non crescerà più l’erba, e occorreranno decenni per cancellare gli effetti funesti di questa distruzione delle menti giovanili. Forse in un lontano futuro i paleoantropologi si arrovelleranno per capire come mai i nostri resti fossili mostrano un’ evidente involuzione rispetto a quelli dell’Homo Sediba.
A questo punto è inevitabile la domanda: cui prodest? A quale disegno politico è funzionale il rimbecillimento generale, la dequalificazione della scuola, l’umiliazione dei docenti, la diffusione dell’ignoranza? A chi giova assumere l’azienda come paradigma della società intera? Non diventa lecito, a questo punto, sospettare che tutto ciò sia l’effetto di una ristrutturazione del capitalismo nostrano, straccione e ottuso? La distruzione della Costituzione, la cancellazione dei diritti, la creazione di “caporali” (proprio nel senso dell’espressione di Totò) in ogni campo sono segni dello stesso fenomeno.
“ … Loro capiscono che la stupidità, la ribalderia, la complice benevolenza della canaglia giova di più che la virtù, la saggezza e ostilità della gente per bene. Naturalmente uno stato dove si vive così non è lo stato ideale! Però è proprio questo il modo migliore per difendere il loro potere.
(La citazione , di un’attualità sconvolgente, è tratta dall’Athenaion Politeia del Vecchio Oligarca, irriducibile avversario della democrazia nell’Atene classica. La traduzione, ovviamente, con qualche lieve modifica, è di Canfora).
Lucia Cutuli

(1) L’ho potuto constatare personalmente a scuola, in occasione dei numerosi “scambi culturali” con studenti di altri paesi. I miei alunni andavano all’estero per studiare la lingua. Gli studenti di madrelingua inglese nostri ospiti non imparavano una sola parola di italiano (a parte certe espressioni colorite tipicamente sicule) e non erano in grado di reggere quattro – cinque ore di lezioni normali.
(2) Certe “perle” riportate dai giornali non mi stupiscono affatto. Per uno studente medio Mussolini e Crizia (il leader dei Trenta Tiranni ateniesi) possono essere tranquillamente contemporanei. Ha suscitato scalpore la battuta della novella Miss Italia, secondo la quale le donne, durante la seconda guerra mondiale, non correvano pericolo. Io non mi stupisco affatto: è la tipica risposta della studentessa che ha preparato un argomento da portare agli esami. Aveva “studiato”(i ragazzi direbbero “approfondito”) la seconda guerra mondiale, e quindi era ovvio che citasse quel periodo storico (se questa è la sua conoscenza di un periodo storico tremendo, non oso immaginare il resto!). Prevedo per lei una futura brillante carriera politica.
Lucia Cutuli

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