La Sicilia nell’età del bronzo

LA SICILIA NELL’ETA’ DEL BRONZO
L’antica età del bronzo: la cultura di Castelluccio (1800 – 1400 circa)
Mentre nell’età del rame (III millennio, inizi del II a.C.) la Sicilia presentava una notevole varietà di culture, nell’età del bronzo si afferma una cultura unitaria, artisticamente rigida e conservatrice, che prende il nome dal suo centro più importante, Castelluccio (sito preistorico individuato da Paolo Orsi, a una ventina di Km. da Noto) e che presenta caratteri simili in tutta la parte orientale e meridionale dell’isola, fino all’agrigentino.
La Sicilia occidentale è invece caratterizzata dalla cultura della Conca d’Oro – e poi della Moarda – che è la prosecuzione, senza cesure, della fase precedente, aperta a influssi occidentali, soprattutto iberici (ne è espressione tipica il bicchiere campaniforme ).
Le isole Eolie, dopo un lungo periodo di crisi, conoscono una nuova rifioritura (civiltà di Capo Graziano) grazie alla loro fortunata posizione di collegamento tra il Mediterraneo occidentale e quello orientale (area egeo – anatolica). Questa è proprio la caratteristica fondamentale della prima età del bronzo: l’intensificarsi di scambi culturali e commerciali anche tra paesi lontanissimi, in particolar modo tra la Cornovaglia (da cui proveniva lo stagno), attraverso le coste atlantiche della Francia, l’Aquitania, quindi le coste tirreniche fino allo stretto di Messina, e il mondo egeo – anatolico: come in passato, sarà proprio la civiltà del medio e tardo elladico (quella micenea in particolare) a influenzare notevolmente la cultura inglese del Wessex e tutte quelle costiere del Mediterraneo occidentale. Anzi, è il mondo egeo a costituire il punto di riferimento cronologico che ci permette di datare con una discreta approssimazione le culture siciliane ed eoliane di questa prima fase dell’età del bronzo: gli oggetti di sicura provenienza micenea (v. ad esempio il pomello di spada micenea, foglio 1, fig. 4) rinvenuti in Sicilia, le somiglianze tipologiche tra le ceramiche castellucciane ed eoliane e quelle del medio elladico ci inducono a fissare il periodo che va dal 1800 al 1400 a. C. circa come epoca di fioritura della più antica civiltà del bronzo in Sicilia.
La cultura di Castelluccio – tralasciamo le altre culture coeve in Sicilia – in sintesi è caratterizzata dai seguenti elementi:
- La ceramica è fatta a mano (il tornio non è ancora conosciuto) e presenta decorazioni geometriche brune su fondo rosso o giallino (v. foglio 1, figure 1a, 1b, 1c);
- Gli abitati erano situati prevalentemente nell’interno, su colline, in posizione amena; qualche volta erano fortificati da un aggere di pietrame. Le capanne avevano pianta ovale o circolare. I villaggi – di cui abbiamo scarse testimonianze – sorgevano l’uno vicino all’altro, in modo che gli specialisti metallurghi potessero girare facilmente da un abitato all’altro. Il metallo, però, era ancora relativamente raro e quindi molto pregiato. All’uso quotidiano erano destinati prevalentemente gli strumenti litici (di selce o quarzite), eredità del passato;
- le necropoli a grotticella artificiale sono costituite da stanze sepolcrali collettive, del diametro di 1 – 2 metri, scavate nelle balze calcaree (il calcare è una roccia poco dura, facile da lavorare); alcune tombe sono precedute da un vestibolo a pilastri, raro esempio di architettura preistorica in Sicilia. Le camere sepolcrali, di forma ovale, erano chiuse a volte con semplici muretti a secco, a volte con portelli in pietra, di altezza variabile tra i 70 e i 90 cm., decorati con motivi spiraliformi in rilievo, che richiamano vagamente le sculture dei templi megalitici della coeva civiltà di Tarxien (pronuncia Tarscé) e tipi sepolcrali egeo – anatolici (v. fig. 2);
- intensi erano gli scambi culturali con la Grecia e l’Asia Minore: ad esempio sono stati rinvenuti, nei villaggi castellucciani, degli strani ossi a globuli (v. figura 3) che probabilmente erano idoletti (qualcuno era stato scoperto anche nei siti dell’età del rame) identici a quelli trovati a Troia II e III, a Lerna in Argolide, a Malta.
Particolarmente assidui erano scambi e contatti tra Malta e la gente “castellucciana”, ad esempio con gli abitanti dell’Ognina, isoletta che si trova un po’ più a sud di Siracusa: qui è stata scoperta una gran quantità di ceramica grigia impressa, decorata con un materiale gessoso – diversissima, quindi, da quella siciliana dell’antica età del bronzo – tipica dello stile di Tarxien, ma simile anche a un particolare tipo di ceramica meso – elladica rinvenuta dal Dörpfeld nell’Altis di Olimpia. Alcuni hanno ipotizzato addirittura un insediamento commerciale maltese all’Ognina. Insomma, in questo periodo la Sicilia non è abitata solo dalle popolazioni agricolo – pastorali castellucciane: essa è centro e tramite di scambi intensi tra popoli marinari, provenienti da tutto il Mediterraneo: Maltesi e Micenei, Micro-asiatici e Franco-iberici (certe fortificazioni di pietrame dei villaggi castellucciani sono identiche a quelle dei villaggi preistorici della Francia meridionale, del Portogallo, della Spagna), per non parlare delle genti eoliane della cultura di Capo Graziano.

La media età del bronzo: la cultura di Thapsos
(1400 – 1270 a. C.)

In questa fase, i contatti culturali e commerciali con il mondo egeo si intensificano, fino a diventare predominanti: ed è proprio la civiltà micenea, i reperti sicuramente importati dalla Grecia (v. foglio 2, fig. 7) a permetterci di datare questa seconda fase dell’età del bronzo ai secoli XV – XIII a. C. : essa è, cioè, coeva del Miceneo III A 2. (v. nota 1)
La distribuzione dei villaggi cambia completamente, rispetto all’età precedente: ora sono ubicati sulla costa, segno, questo, della nuova importanza economica assunta dal commercio marittimo (l’economia castellucciana era, invece, agricola e pastorale).
Il più notevole di questi abitati è Thapsos, che sorgeva sull’attuale peni soletta di Magnisi, tra Priolo e Marina di Melilli, 7 – 8 Km. a nord di Siracusa, in una zona devastata dalle industrie petrol – chimiche, che hanno messo a repentaglio la stessa conservazione del sito. Si tratta di una striscia di terra (circa 2 Km. di lunghezza x 800 metri di larghezza) unita alla terraferma da uno stretto istmo: qui, insieme alle capanne a pianta ovale o circolare, appare per la prima volta in Sicilia – per quanto ne sappiamo – un tipo di abitazione a pianta rettangolare, che presenta la tipica struttura del megaron egeo. Il villaggio ha una pianta regolare, con strade lastricate e pozzi (è stato definito una delle più antiche “città” dell’Occidente). La necropoli è costituita da un centinaio di tombe, per lo più a grotticella artificiale, scavate nella balza calcarea lungo la costa, secondo il consueto modello di origine egea; oppure a pozzo, scavate sul pianoro e rese accessibili mediante un gradino.
La ceramica tipica della cultura di Thapsos è radicalmente diversa da quella dell’età precedente, e presenta invece notevolissime affinità con quella eoliana della coeva cultura del Milazzese: l’impasto è grigio, non molto raffinato. Il tornio è ancora sconosciuto. I vasi sono quindi fatti a mano, sobriamente decorati con incisioni a volte sottolineate da una specie di stucco bianco, a motivi geometrici o uccelli stilizzati. Le forme non sono molto varie: piccole anfore tondeggianti, bottiglie monoansate (cioè con un solo manico), grandi bacili su alto piede, a volte dotati di un’ansa sopraelevata costituita da una piastra bifida (v. foglio 2 figure 1, 2, 3, 4, 5).
Oltre alla ceramica d’importazione micenea (v. figura 7), non mancano vasi sicuramente provenienti da Malta, dello stile detto di “Borg – in – Nadur”: tazze con due piccole anse, o coppe su un piede a tronco di cono, decorate semplicemente con fasci di linee parallele: i contatti con Malta, evidentemente, non sono diminuiti, anzi …
Ma è l’influsso egeo – miceneo quello che caratterizza maggiormente le culture siciliane di questo periodo, sia nelle forme ceramiche, sia nella struttura delle abitazioni. Nelle isole Eolie l’influsso è ancora più marcato: su una serie di grandi vasi, soprattutto pithoi (= giare) sono impressi i contrassegni dei vasai, chiaramente ispirati ai segni delle scritture sillabiche egee, lineare A e lineare B (v. figura 8). Rispetto ai villaggi della Sicilia, che nella fase iniziale e intermedia della cultura di Thapsos non sembrano esposti a particolari pericoli e sorgono in riva al mare, i villaggi eoliani, collocati su alture, in posizione disagevole ma adatta alla difesa, sembrano soggetti alle incursioni di un misterioso nemico proveniente dal mare. Nemico che a un certo punto ha la meglio e riesce a distruggere gli abitati del Milazzese (1250 a. C. circa).
Ma anche la Sicilia, verso la metà del XIII secolo a. C. o qualche decennio prima (fase finale della cultura di Thapsos) sembra attraversare una fase di crisi: i centri costieri appaiono distrutti e parzialmente abbandonati. La gente si ritira a vivere nell’interno, sulle montagne, dove costruisce i suoi villaggi (che non sono più costituiti da poche decine di capanne, come avveniva in precedenza, ma grossi centri, abitati da alcune centinaia di persone, almeno a giudicare dalle necropoli).
Sembra incombere su tutti la presenza minacciosa di un nemico invasore, proveniente dal mare.
Si badi bene, però: “sembra”, ma non se ne ha la certezza. Infatti la questione è controversa, data la particolare natura dell’indagine archeologica, fondata esclusivamente sul rinvenimento di testimonianze materiali (per un periodo in cui non esiste la scrittura); rinvenimento – che è di solito casuale – di resti abitativi la cui conservazione è soggetta al capriccio della fortuna: eventuali futuri ritrovamenti costieri potrebbero capovolgere in gran parte la ricostruzione che stiamo tentando di delineare. Lo stesso Bernabò Brea, autore del testo che sto qui sintetizzando, negli ultimi tempi in cui ho frequentato le sue lezioni (cioè nei primi anni ’70) manifestava qualche dubbio sulla sua stessa ricostruzione degli eventi che segnano la fine della media età del bronzo siciliano. Ma qui, in mancanza di nuove sensazionali scoperte che ci inducano a modificare le nostre idee (scoperte che, a quanto pare, non si sono verificate negli ultimi 40 anni) ci atterremo alla teoria tradizionale.

Il problema dei Siculi e degli antichi abitanti della Sicilia
Abbiamo detto che un misterioso nemico proveniente dal mare sembra terrorizzare gli abitanti dei villaggi costieri verso la metà del XIII secolo a. C. Ma chi sia questo nemico, non è facile da stabilire.
Gli archeologi possono classificare e definire una facies culturale attraverso i suoi resti materiali, ma non possono – da soli – attribuire a una data cultura il nome di un popolo. Possono essere d’aiuto gli storici antichi, ma si tenga presente che essi sono vissuti molti secoli più tardi dei fatti che narrano; e che di eventi così remoti possono riferire solo ciò che era stato tramandato oralmente di generazione in generazione, cioè antiche leggende. L’archeologia era molto di là da venire, e la storia era “nata” da poco.
Riguardo alle isole Eolie, lo storico Diodoro Siculo (vissuto nel I sec. a. C., cioè 1200 anni dopo, ci narra che esse furono invase dagli Ausoni, guidati dal loro re Liparo: si trattava di un popolo dell’Italia centro – meridionale, appartenente, quindi, all’ambito della civiltà appenninica. In effetti – l’archeologia ce ne dà conferma – la cultura che subentra a quella del Milazzese è di tipo appenninico, caratterizzata com’è da una ceramica ad anse cornute o a decorazione “piumata”(v. figura della ceramica “ausonia”), da capanne simili a quelle del Palatino, da un cambiamento nei riti funerari (cremazione o sepoltura a enchytrismos, cioè dentro grandi giare). In questo raro caso fortunato, in cui dati leggendari e dati archeologici coincidono, possiamo quindi stabilire che le Eolie furono conquistate dagli Ausoni, e chiamare “ausonia” la cultura che vi fiorì dal XIII secolo al IX a. C.
Ma per quanto riguarda la Sicilia, non è altrettanto semplice stabilire chi fossero i misteriosi invasori (ammesso che vi siano stati degli invasori).
Secondo le leggende tramandateci dagli storici antichi (Tucidide, ateniese, vissuto nel V secolo a. C. e “padre” della storia, insieme a Erodoto; Ellanico di Mitilene e Filisto di Siracusa (nota 2), anch’essi del V sec. a. C.) si tratterebbe dei Siculi, i quali, respinti dagli Opici, sarebbero passati dalla Calabria in Sicilia, cacciando a loro volta i Sicani, che prima la abitavano, verso le parti occidentali e meridionali dell’isola. Ciò sarebbe avvenuto, secondo Tucidide, circa trecento anni prima della colonizzazione greca, cioè – dato che la più antica colonia greca in Sicilia è Naxos, fondata nel 736 a. C. – verso il 1030 a. C.; molto prima, secondo Ellanico e Filisto, i quali fanno risalire l’invasione sicula a tre generazioni prima (= 80 – 90 anni) della guerra di Troia (datata dagli antichi al 1182 a. C.), e cioè al 1270 a. C.
Delle due date, quella di Ellanico e Filisto sembra adattarsi meglio ai dati che ci vengono forniti dall’indagine archeologica: appunto verso il 1270 – 1250 a. C. i villaggi costieri appaiono distrutti, e, se ricostruiti, meno intensamente abitati. Gli abitanti si spostano verso l’interno, in luoghi inaccessibili, evidentemente per motivi di difesa (questa almeno è la tesi prevalente tra gli studiosi).
Ma dal punto di vista archeologico l’invasione sicula ci sfugge: alla civiltà di Thapsos non subentra – come sarebbe logico aspettarsi – una civiltà di tipo appenninico. Solo nella zona di Milazzo ci sono testimonianze di una cultura simile a quella ausonia delle Eolie. Per il resto, nulla di appenninico. Il rito della cremazione dei defunti (dominante nel continente italiano) in Sicilia rimane sconosciuto (e lo resterà fino all’età del ferro) e la civiltà di Pantalica, che succede a quella di Thapsos, non ha alcuna somiglianza con la civiltà appenninica, ma, al contrario, è fortemente influenzata da quella micenea. Si tenga presente, però, che il XII secolo a. C. è un’epoca di grandi sconvolgimenti, di migrazioni di popoli: si ricordi che uno dei Popoli del Mare che parteciparono all’incursione contro l’Egitto nel 1230 era quello degli Shekelesh, in cui qualcuno vorrebbe vedere i Siculi (nota 3)
Del resto, la definizione di “popolo” quale oggi noi la intendiamo, si adatta male alle genti preistoriche, frutto della mescolanza di gruppi etnici diversi (Creta era abitata da almeno tre distinte etnie; il tebano Edipo annoverava tra i suoi antenati il “fenicio” Cadmo; e si pensi alla controversa origine degli Etruschi, e al carattere composito della civiltà e della religione dei Filistei…) Un popolo è il risultato di una lunga evoluzione, della fusione di elementi e contributi diversi. Verso la metà del XIII secolo a. C. la Sicilia era probabilmente abitata da un mosaico di genti diverse, che nel corso dei secoli riusciranno a fondersi e ad amalgamarsi … Siculi, parlanti una lingua indoeuropea affine al latino, saranno gli abitanti dell’isola ai tempi della colonizzazione greca. Ma nell’età del bronzo è prematuro cercare dei popoli con caratteristiche ben definite. Del resto, se diamo retta alle leggende, si erano rifugiati in Sicilia alcuni Troiani, profughi dopo la distruzione della loro città, i quali, unitisi a un gruppo dei loro ex nemici achei (Focesi, per l’esattezza) avrebbero costituito il popolo degli Elimi; gli abitanti più antichi, “autoctoni, sarebbero stati i Sicani, di origine e lingua ignote, iberici secondo Tucidide; a costoro si sarebbero quindi aggiunti i Siculi, i Morgeti (di provenienza italica), e poi ancora i Greci e i Fenici … per non parlare dei Cretesi di Minosse, che, dopo l’uccisione del loro re per mano del re sicano Kokalos, sarebbero rimasti in Sicilia fondandovi (nell’agrigentino) Eraclea Minoa … Meglio, quindi, attenersi ai dati forniti dall’indagine archeologica, la quale suole denominare la tarda età del bronzo, dal nome del suo centro più spettacolare, la civiltà di Pantalica. Ma questa sarà argomento della prossima lezione.

NOTE:
1) La civiltà micenea inizia, grosso modo, nella fase finale del Medio Elladico (XVI secolo a. C. circa, ma probabilmente questo inizio deve essere retrodatato), si sviluppa nel Tardo Elladico e finisce verso il 1100 a. C. Essa viene distinta in periodi:
a) Il proto miceneo, o miceneo I e II ( 1550 – 1425 a. C.)
b) Il miceneo “pieno”, o miceneo III A (1425 – 1400)
c) Il miceneo tardo, a sua volta suddiviso in miceneo III A2 (1400 – 1300)
III B (1300 – 1225)
III C (1200 – 1100 circa)

2) Tucidide parla dei popoli che abitavano la Sicilia all’inizio del VI libro della sua “Guerra del Peloponneso). Di Ellanico e di Filisto, invece, non ci è pervenuto nulla, fuorché le citazioni tratte dalle loro opere e riportate da altri autori: queste “notizie di seconda mano” sono raccolte in Fragmanta Graecorum Historicorum (sigla FGrHist). Ma l’analisi delle fonti è rinviata all’ultima lezione.
3) I Popoli del Mare sono due diverse coalizioni di popoli, citati da numerose fonti egiziane, che attaccano l’Egitto in due riprese: la prima volta verso il 1230, ai tempi del faraone Mineptah, il quale li respinse dopo una violenta battaglia; la seconda volta, circa quarant’anni dopo, durante il regno di Ramsete III (verso il 1190). Questa volta si trattò di un vero tentativo di invasione (la prima volta erano solo incursioni piratesche), che provocò rovine e devastazioni lungo le coste dell’Asia Minore e della Siria – Palestina (come apprendiamo anche da documenti ittiti). Respinti anche stavolta, i popoli del Mare si sarebbero riversati altrove. Ma sulla loro origine e identità non c’è alcuna certezza. Oltre tutto, gli aggressori del 1230 sono diversi da quelli della seconda incursione, tranne gli Shekelesh, che parteciparono alla prima e alla seconda ondata di invasione (evidentemente ce l’avevano proprio con l’Egitto). Che gli Shekelesh siano da identificare con i Siculi è opinione (non sostenuta da alcuna prova) di alcuni moderni. Tutte le fonti antiche affermano che i Siculi venivano dall’Italia. Gli unici popoli oggi identificabili sono quelli che gli Egizi chiamano Luka (i Lici di età storica) che si insediarono sulla costa meridionale dell’Anatolia, e i Peleset (i Filistei dell’Antico Testamento, da cui prese il nome la Palestina).

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