Lacrime di coccodrillo sul declino degli studi umanistici

Lacrime di coccodrillo sul declino degli studi umanistici

Sensazionale recente scoperta di alcuni ricercatori: la cultura umanistica in Italia è morta. Aggiungerei, modestamente: anche l’arte, la musica, il cinema, il teatro, e tutto ciò che non è di utilità immediata. Colpa della crisi, certamente. Ma anche obiettivo consapevole della classe politica che ci ha governato negli ultimi venticinque anni (si governa più facilmente un popolo di ignoranti incapaci di giudicare e valutare criticamente) o scelta autolesionista di certe parti politiche con spiccate manie suicide.
La morte della cultura umanistica non è che un aspetto della morte della scuola. Morte preceduta da una più che ventennale agonia. Sulla diagnosi della “malattia” e sul suo prevedibilissimo esito noi docenti ed ex docenti avremmo potuto e potremmo scrivere trattati. Noi lo gridiamo da sempre. Ma a noi, i “paria” della scuola – notoriamente scansafatiche e incapaci di intendere e di volere, utili capri espiatori sui quali scaricare le colpe – nessuno ha mai dato retta. Occorre che il decesso sia constatato da sociologi, ricercatori, pedagogisti e simili, perché lo si prenda in considerazione.
In breve, le cause del disastro attuale si possono così sintetizzare:
1) La mania dell’azienda come “paradigma” della società. Tutto è stato assimilato al modello aziendale: dall’Italia (povera Italia, “di dolore ostello” … ), alla sanità (con i risultati che constatiamo ogni giorno sulla nostra pelle), alla scuola.
Corollario n.1: se la scuola è un’azienda, i docenti sono operai da governare e gestire come subordinati. Ed ecco la creazione di Kapò – pardon, manager – reclutati con sedicenti discutibilissimi concorsi, che spesso hanno operato – almeno in base all’esperienza della sottoscritta – una selezione alla rovescia, premiando i peggiori (l’antico adagio può così essere modificato:… chi non sa, insegna; e chi non sa insegnare, fa il preside).
Corollario n. 2: se la scuola è un’azienda, gli alunni ne sono i clienti, e, come si sa, “il cliente ha sempre ragione”. Quindi cessa ogni rapporto educativo, il dialogo dialettico adulti – ragazzi viene meno. Il docente è un commesso al servizio della clientela, soggetto alle bizze di ragazzi ultra viziati e alle pretese di genitori che vogliono liberarsi da ogni responsabilità,che desiderano unicamente parcheggiare i figli in modo che non li disturbino, che se ne fregano altamente della loro preparazione, e però esigono risultati brillanti e voti altissimi da esibire con gli amici come trofei. Viceversa, la scuola azienda non prende in considerazione se non i “clienti importanti”, e se ne frega degli strati sociali più disagiati ed emarginati. I ragazzi “non importanti” – figli di lavoratori, pendolari ecc. – sono certo ammessi in un liceo classico, ma in apposite sezioni – ghetto, di quelle che cambiano, in un anno, otto professori di lettere e sei di matematica.
Corollario n.3: se i docenti sono dei subordinati, non importa che siano o no preparati, né che siano “bravi”. Si chiede loro solo di essere docili esecutori delle decisioni altrui, abili smanettatori col computer e pazienti compilatori di carte “burocratiche”. Come diceva un vicepreside di una collega: “Sì, è vero, è mediocre come insegnante … ma è così ubbidiente”
E io che mi ero illusa di avere, come compito primario , quello di “formare cittadini”! Ma se sono ridotta a serva, è chiaro, il mio compito è quello di formare servi e sudditi.
2) L’autonomia scolastica. Non c’è più nessuno a cui dare conto e ragione di ciò che non va. Ogni scuola è un piccolo regno autonomo, che non riconosce altra legge se non la volontà del suo sovrano (e della corte che gli sta attorno). Non esistono più leggi, non ci sono più garanzie sindacali, perché “cuius regio eius et religio”. La concorrenza tra scuole, anziché funzionare come “la mano invisibile” che regola il mercato (o che dovrebbe regolarlo, nelle intenzioni dei cosiddetti “liberali”) serve da selezione alla rovescia: non premia il meglio (le scuole di qualità) ma il peggio (le scuole più lassiste, in cui è più facile andare avanti senza studiare). Obiettivo principale di una scuola è reclutare nuovi clienti, strappandoli via alla concorrenza. Quindi non si boccia più nessuno perché questo potrebbe scoraggiare le iscrizioni. Che poi gli studenti sappiano o non sappiano è questione secondaria. Così a me è accaduto di vedere promuovere – con la mia feroce quanto vana opposizione, perché è il consiglio di classe che boccia o promuove e i miei colleghi erano proni al volere del preside – un’alunna che, in primo liceo classico – che equivale al terzo anno degli altri licei – non sapeva nemmeno leggere il greco. Così mi è capitato di sentir dire, agli esami di maturità, che il sole gira intorno alla terra – l’alunna era rimasta a Tolomeo! – che sulla luna non si può vivere sia perché manca un gas necessario alla vita – cioè, ovviamente, l’anidride carbonica – sia perché la temperatura è inferiore ai trecento gradi. Al posto della collega di scienze, che le aveva dato la sufficienza, io avrei fatto l’hara kiri per la vergogna. Invece ho subito una scenata del preside e dei suoi accoliti (lo staff al completo) perché io,insieme ad altre due colleghe commissarie interne, dotate di un normale senso del pudore, avevamo votato – d’accordo con i colleghi esterni – per la bocciatura. Ma il problema non riguarda solo le bocciature: ho saputo di una collega molto seria e preparata che è stata aspramente rimproverata dallo staff presidenziale perché non ha “passato la copia” della versione di greco agli esami di maturità, il che ha comportato un numero minore di 100 rispetto alle attese e alle pretese di alunni, genitori e docenti della sezione. Ma ciò che è più deprimente è il senso di impotenza che si diffonde tra gli insegnanti o, almeno, tra chi vorrebbe ancora insegnare qualcosa (figurarsi tra i precari!): non c’è più nessuna legge, nessuna garanzia, si vive alla mercé dell’arbitrio del “manager”, come tanti Fantozzi. Non parliamo poi di didattica. Una volta il preside doveva avere una certa competenza in questo campo, farsi coordinatore, stimolare il dibattito … ora non più. E’ un manager. E a me è capitato spessissimo di litigare col sedicente manager perché ero ostacolata nella mia azione didattica: ore “rubate” all’insegnamento di latino e greco per motivi futili, rifiuto di concedermi ore di recupero pomeridiane – gratuite, ovviamente – per aiutare alunni in difficoltà, pretesa assurda di impormi metodi e strategie didattiche conformi alla moda dell’epoca (il che è contrario alla libertà d’insegnamento prevista dalla Costituzione) …
3) Le numerose catastrofiche riforme che si sono succedute negli ultimi venti – venticinque anni. La convinzione che il latino e il greco sono materie inutili, troppo faticose e noiose ha indotto i sedicenti riformatori a ridurre il tempo dedicato all’insegnamento di queste lingue morte a vantaggio di materie più utili e moderne. E ad accumulare le più svariate discipline in un tempo – scuola che è sempre lo stesso, molto limitato (sennò i ragazzi si stressano e si traumatizzano, poverini). Come se le teste dei ragazzi (e non solo) fossero dei panini da imbottire, a piacere, con gli ingredienti più svariati, come i panini Mac Donald. Insomma, non si ha idea, o si ignora volutamente come funziona il processo di apprendimento: bisogna per prima cosa imparare a studiare, ad apprendere. E non tutti gli adolescenti – come gli adulti, del resto – sono uguali: c’è chi apprende subito (ma poi rischia di dimenticare), c’è chi impara lentamente, chi ha bisogno di molto tempo … moltiplicare le materie è del tutto inutile, spesso addirittura dannoso. E poi bisogna imparare ad organizzare le conoscenze, altrimenti l’unico risultato di tante fatiche è un tremendo guazzabuglio mentale.
In quanto alla difficoltà delle lingue classiche … chi ha detto che il latino e il greco sono per tutti? Si tratta di lingue letterarie, il cui studio può essere consigliato a chi ha predisposizione per le lingue, a chi conosce perfettamente l’italiano ( idioma quasi del tutto sconosciuto, oggi, in Italia) ed ha interesse e passione per il mondo antico. E invece l’iscrizione al liceo classico è diventata in un recente passato (dalle mie parti lo è ancora) una specie di status symbol. Ragazzini che riuscirebbero benissimo in altri campi sono costretti da genitori ottusi a soffrire per cinque anni cercando di imparare nozioni per loro ostiche e prive di interesse. Ci si iscrive forse a un liceo musicale o a un istituto d’arte senza un minimo di predisposizione per l’arte e la musica? E perché per lo studio del mondo classico dovrebbe essere diverso? In quanto alla noiosità e pesantezza di questo genere di studi … la matematica e le discipline che esigono logica, rigore e applicazione non sono da meno (non a caso, noi docenti di latino e greco concordiamo quasi sempre con i colleghi di matematica nelle valutazioni degli alunni). E perché mai si dovrebbe studiare solo ciò che è leggero, divertente e piacevole? Non si può certo eseguire un pezzo di Mozart o di Beethoven senza annoiarsi con lunghi esercizi di solfeggio. Altrimenti, si scrivono canzonette per Sanremo, si tenta la fortuna con il “grande fratello” o la De Filippi … E’ dunque idiota andare a intervistare cantanti di successo che si sono “annoiati” per anni a studiare lingue antiche (magari avessero invece studiato musica … è forse un caso se la cosiddetta “musica leggera” italiana è, oggi, a mio parere almeno tra le peggiori al mondo?) In quanto alla diffusa convinzione che il moderno sia più interessante, questa è una pia illusione: per un sedicenne di “media cultura” il passato è una sorta di insalata russa, in cui convivono, senza distinzione, Pericle e la regina Vittoria, Enrico IV e Mussolini. L’insegnamento della storia è ormai obsoleto: gli adolescenti – e anche i giovani universitari, per lo più – non hanno più la categoria tempo (e neanche quella spaziale, per la verità).
4) Ed eccoci al punto più dolente: la mancanza di sbocchi lavorativi. Perché iscriversi a una scuola che non offre nessuna possibilità? Alcuni dei miei alunni migliori, che amavano il latino e il greco tanto da iscriversi a Lettere Classiche e da conseguire la laurea col massimo dei voti, oggi sono precari e svolgono un lavoro che non ha nulla a che vedere con gli studi compiuti: fra gli ultratrentenni, qualcuno è insegnante di sostegno alla scuola media (ovviamente, precario, cioè licenziato a giugno e riassunto a settembre), qualcuno vive di (rare) supplenze, mantenuto, per il resto, dai genitori; uno – più fortunato e più giovane – fa la guida dell’Etna accompagnando i turisti a visitare il nostro vulcano (professione certamente interessante … ma che c’entra con la laurea in Lettere Classiche?) Naturalmente io stessa, agli alunni più giovani, quelli delle classi successive, anche se avevano 9 nelle mie materie, ho sconsigliato decisamente la scelta di una facoltà umanistica. Ho visto ragazzi quasi in lacrime iscriversi a malincuore a Medicina. Uno è andato alla Cattolica, a Roma, con un testo di Platone sotto il braccio. Se non è più possibile scegliere facoltà umanistiche, a che pro iscriversi al liceo classico?
Non è vero che il classico in sé non attira più. Al contrario. Dipende dai docenti con i quali si capita. Se si ama follemente quel mondo, quella cultura, quelle lingue, è inevitabile trasmetterlo. Le passioni sono contagiose, e i ragazzi molto sensibili. Quanti dei miei ex alunni, e degli ex alunni dei licei in cui ho insegnato, entusiasti delle esperienze teatrali fatte a scuola (tragedie greche, ma non solo … con uno dei miei ex presidi, uno dei pochissimi veramente in gamba,con me e con altri colleghi “maniaci” come me) hanno poi scelto di dedicarsi al teatro ( che Dio gliela mandi buona, di questi tempi)! Una ragazza dell’ultima classe in cui ho insegnato è entrata all’INDA (Istituto Nazionale del Dramma Antico, quello che organizza gli spettacoli classici di Siracusa) superando la difficile prova di ammissione con il monologo di Ecuba (da Le Troiane di Euripide che avevamo messo in scena – e tradotto – a scuola).
La cultura umanistica muore perché muore l’Italia, assassinata dalla crisi attuale e da decenni di politica criminale. Un popolo che rinuncia alla sua storia, al suo patrimonio artistico, alle sue radici, è un popolo che muore (v. anche la Grecia). Altri sanno valorizzare perfettamente il poco che hanno facendone una risorsa economica che dà lavoro a centinaia di persone. Noi, come i Greci, lasciamo andare in rovina ciò che il mondo intero ci invidia.
5) Ma torniamo alla catastrofe – scuola. Il “buonismo” è un’altra non secondaria causa del suo declino. Insegnare sul serio è faticoso. E comporta l’ingrata funzione di “giudice” che, anche in campo scolastico, è una calamita di guai e rogne varie (anche giudiziarie, a torto temutissime dalla maggioranza dei docenti). Molto più facile promuovere tutti, anche se non hanno mai aperto libro. Si è “amati” da tutti, presidi, genitori, alunni scansafatiche …
Però … questa popolarità è fasulla, e mina dall’interno, come un cancro, l’intera scuola. Gli “altri”, quelli che hanno faticato sui libri, si considerano dei fessi: perché studiare, se tanto si viene promossi lo stesso? O, peggio ancora, se si viene messi alla pari con chi notoriamente e sfacciatamente non ha mai fatto nulla ( i ragazzi hanno uno spiccato senso della giustizia, l’abitudine a fare confronti e a considerarsi sottovalutati rispetto ad altri) o se si intuisce che eventuali bocciature metterebbero a rischio la formazione delle classi successive … e il posto di lavoro dei docenti? Se si verifica anche solo una di queste situazioni, la classe è persa e non si recupera più. Il docente serio può rinunciare a insegnarvi e non gli resta che trasferirsi altrove, tanto più se è circondato da colleghi “buonisti” che anche involontariamente gli aizzano contro alunni e genitori. Ma è poi vero che tutta questa profusione di “bontà” giova ai ragazzi? Alle medie non si bocciano perché “è scuola dell’obbligo”, altrimenti si traumatizzano a vita. Si iscrivono alle superiori con lacune che sembrano buchi neri, a volte persino con difficoltà di lettura. Se incontrano docenti e presidi buonisti vanno avanti senza intoppi e conseguono la maturità, convinti che tutto sia loro dovuto, che nella vita non sia necessario faticare, che sia sufficiente un po’ di furbizia o la raccomandazione, per cavarsela … poi c’è l’impatto con l’università e/o con il mondo del lavoro. Di colpo si scopre la durezza della realtà, e l’effetto può essere davvero devastante. Nessuno più si preoccupa di evitare loro traumi e delusioni, e oggi non c’è più molto spazio per gli antichi clientelismi e le tradizionali raccomandazioni. La crisi ha spazzato via tutto. Non c’è più speranza e fiducia nell’avvenire. E allora perché studiare e faticare?
E poi ci sono i nuovi miti creati da vent’anni di berlusconismo: il successo facile, i soldi, la notorietà. Basta essere carine e prive di scrupoli, o comunque disposti a prostituirsi – fisicamente o mentalmente -, a tollerare i compromessi più osceni. Quando ero giovane, dalle mie parti un padre uccise – tra l’approvazione generale – un professore universitario che aveva abusato della figlia minorenne (a quell’epoca si diventava maggiorenni a ventun anni). Oggi i genitori accompagnano le figlie minorenni a casa di anziani potenti e danarosi. Tra i due eccessi, non so quale sia il più mostruoso. Quanti decenni occorreranno per rimediare ai guasti educativi di questo ventennio?
6) Per tornare ai problemi specifici del liceo classico, l’ostacolo principale all’insegnamento del latino e del greco (e di qualsiasi altra lingua, morta o viva) è l’ignoranza della lingua italiana, fortemente voluta dai governi di ogni colore e da eminenti linguisti. Confondendo l’ambito della ricerca universitaria e quello della scuola – di cui non sanno nulla – costoro hanno screditato la grammatica normativa e l’analisi logica, pretendendo di sostituirle con astruse e complicate nomenclature (spesso solo quelle) o con sistemi di analisi troppo complessi perché possano essere appresi da ragazzini. So perfettamente che l’analisi logica è un sistema empirico, inadeguato ad una analisi scientifica della lingua, specialmente di quella attuale. Ma rimane utile. Nessuno zoppo butta via una stampella, perché è uno strumento imperfetto. Intanto la adopera. Quando non gli servirà più potrà gettarla alle ortiche. E la lingua è un codice, basata – come qualsiasi altro codice – su norme precise. Se vogliamo comunicare, dobbiamo rispettarle. Trovo, quindi, idiota la messa al bando della grammatica. Certo, insegnare l’aspetto verbale greco o la consecutio latina a chi non conosce i verbi italiani e il loro uso è una missione impossibile. Ma neanche una lingua moderna – come l’inglese – può essere insegnata a prescindere dallo studio della morfologia. Non è un caso se in Italia, malgrado la detestabile anglomania imperante, coloro che sanno veramente parlare in inglese sono pochi. E’ un errore considerare una lingua – morta o viva che sia – un mero repertorio di vocaboli, per cui basta imparare il lessico per poter parlare e capire. Si tratta di un errore simmetrico a quello di certi vecchi docenti del passato, che facevano studiare solo grammatica latina e greca, tralasciando lessico e sintassi e tutto il resto. Studiare qualsiasi lingua significa “cambiare continente” ; una lingua è un nuovo mondo: un nuovo modo di vedere la realtà, il risultato di una lunghissima storia, una cultura diversa, oltre che lessico, grammatica, sintassi …
Bisognerebbe spiegarlo al linguisti illustri e ai loro portavoce (cretini) nel mondo della scuola, a molti colleghi “moderni” che insegnano lingue di vario tipo e specialmente a quelli di inglese …
In ogni caso, se manca la padronanza della lingua madre, ogni sforzo è inutile. Mancano le strutture logiche mentali di base. Come se si invertisse il cammino dell’evoluzione, e si tornasse allo stadio degli australopitechi. Non è vero che si può imparare una lingua straniera prescindendo dalla conoscenza della lingua madre. A meno che non si sia piccoli e ci si trasferisca in un altro paese come immigrati.( A proposito di immigrati: per concedere loro il permesso di soggiorno li si sottopone a un esame di italiano: e se si facesse lo stesso con i nostri politici e con i giornalisti, specialmente televisivi? Se si dichiarasse decaduto da ogni carica politica chi oltraggia la lingua italiana? Io introdurrei il reato di vilipendio, da scontare con un lungo soggiorno in un cosiddetto “centro di accoglienza”…)
7) Le responsabilità dei sindacati, e in particolare della CGIL scuola, sindacato in cui ho militato per parecchi anni e di cui ho stracciato la tessera ai tempi della riforma Berlinguer e del famigerato “concorsone” dell’epoca. Partendo dalla solita (errata) convinzione che noi professori lavoriamo poco, abbiamo troppe vacanze e dobbiamo essere messi alla pari degli altri lavoratori, si è trovata una brillante soluzione: prolungare il tempo della nostra permanenza a scuola per poterlo quantificare e retribuirlo in modo – a loro parere – più adeguato all’impegno. Il problema è che il lavoro di un docente è diverso – non superiore né inferiore – rispetto a quello di un operaio. Valutarlo è estremamente difficile (non impossibile, però). C’è stato, quindi, per diversi anni, un proliferare di cosiddetti progetti, spesso molto fantasiosi e poco attinenti ai programmi della scuola. I colleghi furbi hanno smesso di insegnare le discipline per le quali sono pagati e si sono trasferiti a scuola per sei pomeriggi su sette per dedicarsi ai progetti (la cui utilità era solo quella di permettere ai colleghi di arrotondare il magro stipendio). I professori meno meritevoli sono diventati, così, quelli che tenevano al loro lavoro e si dedicavano ad esso a tempo pieno (lavorando moltissimo anche a casa, per studiare, preparare lezioni, inventare nuovi espedienti didattici e correggere compiti, tutta roba non quantificabile). Sono stati poi introdotti degli incentivi: per fare carriera noi docenti – categoria notoriamente ignorante e arretrata – dovevamo sorbirci corsi di aggiornamento tenuti da vecchi presidi in pensione e rampanti proff. universitari di psicologia e pedagogia ( avendone frequentato diversi da giovane, ed essendomi fatta una precisa quanto poca lusinghiera idea di simili aggiornatori ho deciso di non fare nessuna carriera e di snobbarli del tutto. E ho continuato a spiare le librerie in attesa dell’ultimo saggio di Canfora o di Vernant … ma aggiornarsi nelle proprie materie non vale). Poi la crisi – è questo l’unico suo pregio – ha spazzato via questi miserevoli espedienti inventati dai nostri governanti per evitare di pagare a tutti uno stipendio decente.
8) Infine, last but not least: il liceo classico, scuola di lunga e prestigiosa tradizione, è fondato su una intelligente e meditata organizzazione dei tempi e delle materie (dopo anni di sperimentazioni varie, sono diventata una gentiliana di ferro), e in modo particolare sulla centralità della cattedra di lettere al ginnasio, che è stata una delle più impegnative della scuola italiana. Potendo disporre di 18 ore per un numero limitato di alunni (una sola classe, anche se di trenta o più elementi, è sempre una classe) il docente del biennio può dedicare a ciascun ragazzo molto tempo e molta attenzione ( a differenza del docente che dispone di tre – quattro ore in diverse classi). Può quindi ancora recuperare le lacune ereditate dalla scuola dell’obbligo, insegnare ad apprendere, ad acquisire un metodo e un ritmo di studio, e soprattutto le categorie “mentali” (logiche, espressive, spazio – temporali) che sono la necessaria pre – condizione di qualsiasi apprendimento. Potendo insegnare ben cinque materie (italiano, latino, greco, storia e geografia) il docente del biennio può coordinare le conoscenze nel modo più efficace e funzionale (ad esempio, se i ragazzi non hanno idea dell’analisi logica e grammaticale, il prof. di IV ginnasio può dedicare mesi, anche un quadrimestre intero, al recupero di queste nozioni; può fare studiare contemporaneamente la storia delle antiche civiltà orientali e, in geografia, l’Anatolia e i paesi del Golfo; può insegnare a conoscere la civiltà e la storia greca e latina insieme alle lingue classiche, che risultano astruse se staccate dal loro contesto … Ovviamente, il vecchio docente del ginnasio diventa il principale punto di riferimento della classe: da solo, ha più ore di tutti gli altri colleghi insieme. Per questo deve essere dotato, oltre che di una solida preparazione, di equilibrio interiore, capacità comunicativa, autorevolezza, una via di mezzo tra il domatore di leoni e il bravo intrattenitore … e deve “avere le palle” perché spetterà a lui assumersi il peso e la responsabilità di tutto l’andamento della classe, comprese le decisioni più impopolari. Questo significa affrontare battaglie quotidiane (con presidi e genitori), rogne varie e persino minacce e seccature giuridiche. Naturalmente, questo compito è molto stressante (parlo per esperienza: ho insegnato al ginnasio per metà della mia quarantennale carriera). Per i docenti che somigliano a don Abbondio, un peso insostenibile. Meglio scaricarsi di un bel po’ di responsabilità. Per i presidi – manager una situazione seccante da gestire: chi dispone di ben cinque materie ha più peso “morale” (non giuridico) nel consiglio di classe, e a volte, tenendo presenti più gli interessi dell’alunno (cui gioverebbe una sacrosanta bocciatura e lo stimolo a cambiare strada) che quelli dell’azienda (che non deve “perdere clienti), rischia di attuare una severa selezione nella classe – termine terribile e inviso ai progressisti: ma l’importante è non attuare una selezione di classe (sociale), offrendo a tutti una preparazione adeguata, non promuovendo tutti per “pietà” -. Meglio quindi spezzare la cattedra, in due o più insegnamenti (è più facile manovrare due tre docenti deresponsabilizzati che uno solo cosciente e responsabile ). Capita poi, a volte, che un docente di ginnasio sia inadeguato e rischi di rovinare completamente la classe a lui affidata: meglio, allora, affiancargli un collega più bravo (per “piangere con un occhio solo). Ma queste motivazioni non si possono dire in pubblico, anche perché i docenti – anche i peggiori – non sono facilmente licenziabili. E allora si dirà ufficialmente che una cattedra “spezzata” comporta grandi vantaggi per gli alunni (balle!) che potranno mettere a confronto metodi diversi ecc. oppure spingerà i docenti ad una proficua collaborazione (ovvero: come fare peggio, con maggiore dispendio di tempo e di energia, ciò che un solo docente potrebbe fare presto e bene. La collaborazione e il confronto vanno riservati ad altri momenti).
Ora, poi, con la intelligente riforma Moratti, secondo la quale tutti i docenti devono insegnare per 18 ore, la cattedra del ginnasio può essere frazionata anche in cinque spezzoni. E’ la fine del liceo classico, ma non solo …. Tra cinquant’anni si vedranno i guasti.
Berlinguer si era limitato a distruggere i licei. La Moratti ha distrutto i tecnici e i professionali. Poi è venuta la Gelmini … e dopo di lei, al suo passaggio,non cresce più nemmeno l’erba. E a me viene in mente, come degna epigrafe per la scuola italiana, una splendida canzone del mio amato Brel: l’air de la bêtise, ovvero l’inno all’idiozia.

Lucia Cutuli

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