LATINO: terza declinazione – presentazione

Terza declinazione

Perché “riscrivere” una terza declinazione così complicata, così “scientifica”? Vale la  pena di dedicare tanto tempo e tanta fatica allo studio di un argomento che, di solito, nei testi scolastici, occupa poche pagine (corredate, però, da un elenco interminabile di presunte eccezioni)?

All’origine di tutto questo lavoro – uno dei più impegnativi da me eseguiti – sta il … “dolore dei mattoni”, che è la fantasiosa traduzione dell’espressione “laterum dolor” da parte di una mia ex alunna ginnasiale di tempi ormai lontani. Inutile fare appello al buon senso e alla logica. Inutile sottolineare l’assurdità del senso di una simile traduzione. Per i  ragazzi di ieri e di oggi in un testo latino o greco si può trovare di tutto, anche le affermazioni più folli. Per chi – come gli antichi – della vita ha una concezione tragica anche i mattoni soffrono. Perché stupirsi?

In quel momento ho capito che era importante aiutare i ragazzi a ricostruire il nominativo partendo da qualunque altro caso. La distinzione tradizionale tra parisillabi e imparisillabi non è di grande aiuto. Soprattutto se del Tantucci – unico testo di latino che mi ha accompagnato nella mia vita scolastica, prima da studente e poi da docente perché non ne ho trovato nessun altro ugualmente efficace – si saltano a piè pari le note di grammatica storica, come avviene di solito. Come meravigliarsi, poi, se i nostri studenti non distinguono tra later e latus? Perché mai dovrebbe essere ovvio, per un quattordicenne, risalite da laterum a latus?

Si tenga poi presente lo strano atteggiamento schizofrenico della nostra didattica e dei libri di testo più diffusi: si presenta la lingua greca in modo scientifico, con una certa attenzione ai fenomeni fonetici e alla grammatica storica. Il latino invece no: viene presentato in modo empirico e piuttosto superficiale. Non è opportuno, in questa sede, indagare sui motivi di questa strana divaricazione didattica, che ha origini remote e anche “ importanti”. Il fatto è che  questa impostazione non funziona più. Per questo motivo ho riscritto la terza declinazione latina con gli stessi criteri con i quali viene di solito presentata quella greca. Del resto io ho sempre adoperato testi il più possibile scientifici ( il Pieraccioni prima, poi il Restifo – Pappalardo), perché ho preferito fare leva sulla logica dei ragazzi, piuttosto che sulle loro capacità mnemoniche, (come avveniva ai nostri tempi)  oggi, peraltro, drasticamente ridotte da decenni di didattica sbagliata (memoria minuitur, nisi exerceas). Proprio per favorire la memorizzazione dei fenomeni fonetici non dò mai nulla per scontato: preferisco ripetere cento volte, ad esempio, che una vocale breve in sillaba mediana aperta diventa “i”, come negli spot pubblicitari, nella speranza che l’informazione rimanga nella testa dei ragazzi. Per questo motivo il testo è più lungo del necessario: si impiega molto tempo per fare assimilare una “terza declinazione” così concepita (mediamente un mese o anche più, come per la terza greca), ma ne vale la pena. A patto, naturalmente, che alla teoria si accompagni una mole smisurata di esercizi “ su misura” che non si trovano, di solito, sui manuali scolastici, e che bisogna inventare: nomi in casi vari di cui bisogna individuare il nominativo e il tema, nomi da declinare e da tradurre, imparandone il significato a memoria, brevi frasi da costruire utilizzando vocaboli stabiliti ecc. Bisogna, insomma, evitare  due tra i più frequenti errori didattici che sono tra loro speculari: molta teoria e poca pratica (come se una lingua potesse essere ridotta a un repertorio di  astratte nozioni di grammatica storica o normativa), o, al contrario, come avviene con i metodi ispirati all’insegnamento delle lingue moderne, e specialmente dell’inglese, molto lessico e poca teoria (ma una lingua non è un repertorio di nomi!). Nell’uno e nell’altro caso i risultati sono molto deludenti. I “grammaticalisti” sapranno ripetere a memoria tutte le regole, ma non capiranno mai un classico. In quanto agli emuli dei moderni docenti di inglese … resteranno ugualmente delusi: i loro alunni sapranno tradurre “a orecchio” un repertorio di frasette prefabbricate o di brani inventati da qualche professore creativo, ma davanti a un testo “vero” non sapranno da dove cominciare. Spero dunque che la mia fatica possa essere utile a qualche collega che dissente sia dai primi che dai secondi.

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