Italiano ginnasio: IL PUZZLE (esercizio sulla struttura di un testo)

Premessa: uno dei problemi più rilevanti, in IV ginnasiale, è quello di riuscire a insegnare come strutturare un testo (di natura argomentativa o di analisi : il classico “tema”. insomma). Spesso gli adolescenti scrivono tutto ciò che viene loro in mente senza seguire un ordine preciso, in maniera “casuale”, in modo tale da creare quello che io chiamo “l’effetto elenco”, un’affermazione dopo l’altra (poi c’è …). Questo esercizio ha lo scopo di intervenire su quella che la retorica antica chiamava “dispositio” : dati già da me i contenuti (eliminato, quindi, per il momento, il grosso problema della “inventio” ), ma in modo frammentario e caotico, bisogna disporli in modo tale da ottenere un testo logicamente ordinato e coerente, inserendo, infine, gli opportuni connettivi per dare coesione al discorso. Importante: il testo del puzzle deve essere stampato su una sola facciata di ciascun foglio, in modo tale che sia possibile ritagliare i vari “pezzi”.

                                                           IL PUZZLE

Queste sono alcune mie osservazioni sul canto VI dell’Eneide. Ma le ho scritte in modo disordinato, alla rinfusa, man mano che le idee mi venivano in mente. Mettete in ordine i vari “pezzi” (contrassegnati da  un numero), seguendo questo procedimento:

- ritagliate con le forbici ciascun pezzo;

- mettete insieme i “pezzi” che trattano lo stesso argomento, in modo da ottenere diversi mucchietti: ciascuno di essi costituirà un punto dello schema del discorso;

- cercate di disporre tutti i pezzi secondo un ordine logico e coerente, magari incollandoli su un foglio bianco, oppure appuntando il loro numero di serie nell’ordine  che ritenete più appropriato (ad esempio: al primo posto il pezzo n.7, al 2°  il pezzo n.12, e così via).

Alla fine verrà fuori un discorso magari logico e ordinato, ma fatto di PEZZI STACCATI. A questo punto, rielaborate l’intero discorso, inserendo i CONNETTIVI OPPORTUNI (o anche intere frasi che fungano da elementi di collegamento) e, se credete, cambiate, modificate, tagliate. Insomma, dovete ottenere un discorso logicamente organizzato, i cui singoli “pezzi” siano perfettamente connessi tra loro.Ovviamente, non esiste un’unica soluzione “giusta”. Le combinazioni possono essere moltissime.

1) Il canto VI è il più augusteo del poema: Virgilio riesce, senza mostrarsi cortigiano e adulatore, ad esaltare Augusto, la sua opera politica, la sua ideologia. Riesce a fondere mito e storia: inserisce la storia – sotto forma di profezia – nella vicenda mitica.

2) L’idea di passare in rassegna i propri futuri discendenti avrà fortuna nella letteratura europea: la ritroviamo nel Macbeth di Shakespeare. Il protagonista, che si è macchiato di orrendi delitti pur di conquistare il potere, chiede alle streghe di fargli conoscere il suo futuro. Con suo grande disappunto, vedrà sfilarsi davanti i futuri re, discendenti dell’uomo che egli ha fatto assassinare. Non suoi: egli non avrà discendenza.

3) Non è casuale il fatto che Augusto ci viene presentato insieme a Numa, il re pacifico e saggio, mentre Cesare è associato a Romolo: Romolo ha fondato Roma, ma a prezzo del fratricidio e di innumerevoli guerre; anche Cesare ha, in un certo senso, ri – fondato Roma,  facendola diventare da “polis” qual era, capitale di un vasto impero. Ma il prezzo è stato tremendo: la guerra fratricida che lo ha contrapposto a Pompeo. Augusto, invece, ha riportato la pace, ha ristabilto le leggi e le antiche tradizioni degli avi. Insomma, Augusto è, agli occhi di Virgilio, un nuovo “Numa”, il restauratore dei valori dell’antica repubblica romana (il “mos maiorum”, i costumi degli avi). Per questo motivo egli è inserito, nella rassegna, tra gli uomini illustri di età repubblicana.

4) Il viaggio di Enea nell’oltretomba costituisce il modello letterario della “discesa nell’Inferno” di Dante, il quale, non a caso, sceglie come guida proprio Virgilio, simbolo della ragione umana. Numerosi sono gli elementi che Dante “prenderà in prestito” dall’aldilà virgiliano, rielaborandoli e inserendoli nella sua concezione cristiana del cosmo e dell’aldilà: il vestibolo,la voragine infernale, i mostri guardiani, le eroine morte per amore, certe categorie di dannati, Caronte. Nel Paradiso sarà Cacciaguida, il trisavolo di Dante, a predirgli il futuro esilio e a rievocare, con rimpianto, l’antica Firenze, “sobria e pudica”.

5) Sarebbe interessante esaminare il VI canto ” alla luce del folclore”: numerosi sono gli elementi comuni all’uno e all’altro. La “catabasi” (o discesa nel regno dei morti) ha un ruolo rilevantissimo nei riti dei popoli “primitivi” : nei riti di iniziazione il futuro capo o l’aspirante sciamano affrontano questo viaggio difficile e pericoloso, per ricevere dalle anime degli antenati le doti eccezionali, magiche, necessarie al loro ruolo.

6) Anche nella fiaba di magia l’eroe ( o l’eroina) deve affrontare il viaggio per “il regno in capo al mondo”, viaggio dal quale, di solito, non si ritorna. Solo l’eroe può tornare vittorioso, grazie ai dono magici che gli sono stati forniti dall’aiutante: questi oggetti servono aneutralizzare i pericolosi mostri – custodi. Nella fiaba italiana di Prezzemolina, ad esempio, ritroviamo i tre pani da gettare ai ferocissimi cani che fanno la guardia al castello della fata MOrgana: quei pani sono l’equivalente fiabesco della focaccia drogata che la Sibilla offre a Cerbero.

7) Il lungo discorso di Anchise sull’anima del mondo e sulla reincarnazione rivela l’influsso delle idee orfiche e pitagoriche sull’ideologia virgiliana. L’Orfismo – come è noto – era una religione misterica (veniva rivelata solo agli iniziati), che si era diffusa in Grecia nell’età arcaica. Secondo gli Orfici, il corpo, elemento materiale e negativo, era la prigione dell’anima, elemento spirituale e divino. Idee simili, sotto certi aspetti, si ritrovavano nella filosofia di Pitagora (VI sec. a. C.). Virgilio appare qui ormai lontano dall’epicureismo giovanile.

8) Il “modello” al quale si ispira Virgilio per la composizione del VI canto dell’Eneide è, come sempre, l’epica omerica, e, precisamente , la Νεκυια (λ), cioè la catabasi di Odisseo. Si tenga però presente che λ è uno dei canti più compositi e rimaneggiati del poema. Gli studiosi, concordemente, ritengono che esso sia opera di almeno due autori diversi, vissuti in epoche differenti, come appare chiaro anche a una lettura superficiale del testo.

9) Il VI canto può essere suddiviso in tre sequenze: la prima è costituita dai preparativi per la discesa agli Inferi (vv. 1 – 261), culminanti con il ritrovamento del ramo d’oro; la seconda  comprende il viaggio per il regno dei morti (vv,262 e ssgg) e raggiunge il suo apice emotivo nell’incontro con Didone e con Deifobo; la terza – la più importante – è costituita dalla profezia di Anchise e dalla sfilata dei discendenti di Enea.

10) Ispirandosi proprio al VI canto dell’Eneide, l’antropologo Frazer intitolò “Il ramo d’oro” la sua opera più famosa (1911), che tratta – come afferma l’Autore – della magia e della religione. Dall’analisi di riti, usanze, materiale folclorico proveniente da ogni parte d’ Europa, Frazer giunge alla conclusione che il ramo d’oro non sia altro che il vischio, pianta magica per eccellenza: ” Certo Virgilio non lo identifica con il vischio, ma glielo paragona soltanto; tuttavia questo può essere un modo pratico per circondare di mistica aureola l’umile pianta. O, più probabilmente, la sua descrizione si basava sopra una superstizione popolare, che in certi momenti il vischio splendesse tutto di una soprannaturale aureola d’oro … o forse il nome  (di “ramo d’oro”) può derivare dal ricco color d’oro che prende un ramo di vischio qualche mese dopo essere stato tagliato.

11) C’è una grande differenza tra l’aldilà di Omero e quello di Virgilio: nel primo c’è una visione più semplice, per certi versi più “primitiva” della vita e della morte: nessuna visione provvidenziale, nessuna scintilla divina, nessuna “anime del mondo” allevia la triste condizione dei morti, pallide ombre dolenti, che rimpiangono la vita (qualsiasi tipo di vita: anche la vita miserabile dei teti è preferibile alla condizione dei defunti; lo afferma Achille,, proprio lui, che aveva scelto una vita breve e gloriosa anziché una vita lunga e tranquilla, ma oscura!) Ciò che conta è la vita, con i suoi valori. In quanto ai morti, non sono né puniti né premiati nell’aldilà. Ogni concetto di giudizio morale è estraneo all’oltretomba omerico, per lo meno al primo (in realtà, nel canto XI ci sono due diversi regni dei morti, tra loro inconciliabili): l’accenno a Minosse (vv. 567 e ss.), ai peccatori e alle loro pene è da considerarsi spurio, cioè aggiunto più tardi, e composto da un autore diverso dal Poeta dell’Odissea. Lo stesso dicasi per il catalogo delle eroine (λ 225 – 332), pezzo a sé stante, inserito nel canto XI chissà da chi e in quale epoca.

12) Non si comprende bene la funzione che riveste, nel contesto del VI canto, la descrizione del fregio aureo sui battenti dal tempio cumano di Apollo: la si può confrontare con la descrizione del fregio sul tempio di Cartagine: Ma nel I canto essa aveva una funzione poetico – narrativa precisa: richiamare il tema del dolore per la patria perduta; qui c’è,forse, il gusto – tipico della poesia alessandrina – della ekphrasis (cioè della descrizione di opere d’arte): Forse c’è anche un nesso tra la vicenda di Enea, profugo in Italia, e quella di Dedalo, costretto, anche lui, a rifugiarsi in Italia per sfuggire all’ira di Minosse. La leggenda di Dedalo doveva essere molto diffusa nella regioni della Magna Grecia, Forse, tra il cretese Dedalo e il troiano Enea c’era anche un’affinità di stirpe (cfr. III, 103 – 1115): era opinione diffusa tra gli antichi  (lo testimonia Erodoto) che i Troiani avessero origini cretesi. E anche tra i moderni , c’è chi (Palmer) sostiene la stessa tesi.

13) I morti di Omero abitano in un mondo molto meno definito di quello virgiliano: “paese delle nebbie” e “prato di asfodeli ” sono le uniche indicazioni che ci fornisce il testo. Per evocare i morti, basta celebrare i sacrifici e scavare una fossa, facendovi scorrere il sangue delle vittime: più primitivo e più orrido, l’Ade omerico non ha né vestibolo, né voragini, né palazzi, né mostri – custodi. Odisseo non “entra” nell’Ade: la fossa rappresenta simbolicamente l’ingresso nell’altro mondo: Ma l’eroe non vi entra. Sono i morti che emergono, per breve tempo, nel mondo dei vivi. Ma per potere parlare, hanno bisogno di bere il sangue, simbolo della vita: Ci troviamo qui in presenza di una concezione molto antica: i morti sono pallide ombre senza voce, non “anime”.

14) Secondo  Frazer, il vischio è una pianta magica perché si trova in una posizione intermedia tra cielo e terra: infatti cresce sugli alberi (è una pianta parassita); ed è sacro, perché associato al culto della quercia (albero su cui cresce solitamente): la quercia è l’albero del sole, sacra a Zeus (per i Greci), a Giove (per i Romani), insomma al dio – sovrano del cielo delle popolazioni indoeuropee. Il vischio è, quindi, anch’esso, la pianta del sole. Anzi, esso contiene in sé  ”il seme del fuoco e della luce”. Per questo motivo Enea, “viandante sperduto nelle tenebre sotterranee” ha bisogno del ramo d’oro che gli serva “da lampada per rischiarare i suoi passi” e da “arma” di difesa “contro gli  spaventosi spettri che gli avrebbero attraversato la strada” (Frazer, op. cit. p. 1085 – 1086).

15) Sarebbe significativo stabilire un confronto tra le figure che fungono da mediatrici tra il regno dei vivi e quello dei morti: nell’Odissea è Circe, la maga (erede della preistorica πóτνια θηρων); nell’Eneide è la Sibilla, sacerdotessa “speciale”, che custodisce l’ingresso dell’Averno e viene invasata dal dio; nel folclore è la strega del bosco ( o il “signore dagli animali” o altre figure equivalenti); le streghe tornano nel Macbeth di Shakespeare, sempre con la stessa funzione di intermediarie tra vivi e defunti, e di rivelatrici del futuro. Per Dante il discorso è più complesso: i mediatori sono diversi (Beatrice e Virgilio) e appartenenti al mondo cristiano – medievale. Ma questo discorso ci porterebbe troppo lontano.

16) Nel folclore ritroviamo, puntualmente, tutti gli elementi costitutivi dell’aldilà virgiliano: il bosco oscuro e l’acqua, come elemento di confine tra  regno dei vivi e regno dei morti; l’intermediaria che vive nel bosco, in un antro o in una capanna; il viaggio in barca, i mostri custodi (Cerbero, l’Idra ecc. sono gli antenati del drago medievale); e, in particolare, l’oro, il colore dell’oro come caratteristica del “regno in capo al mondo” (v. Propp “Le radici storiche dei racconti di magia”).

17) A livello strutturale, vi è affinità tra λ e il canto VI dell’Eneide: Virgilio riprende la materia omerica, rielaborandola in modo originale. Ulisse incontra Elpenore, morto a sua insaputa e rimasto insepolto; allo stesso modo Enea incontra Palinuro: Ulisse incontra il vate Tiresia e l’ombra della madre; in Virgilio è Anchise, padre dell’eroe, che rivela il futuro destino di Roma. assommando in se stesso la funzione affettiva (che nell’Odissea  spetta ad Anticlea, la madre di Ulisse) e quella profetica. Ulisse incontra personaggi della sua vita passata (Agamennone e Aiace, il quale, sdegnato con lui – perché all’Itacese erano state assegnate le armi di Achille, onore che Aiace riteneva spettasse a lui; e per questo si era  suicidato  - non gli rivolge la parola). Anche Enea incontra Deifobo e Didone: Il primo gli racconta la sua triste fine, causata dal tradimento della moglie Elena (sorte analoga toccata ad Agamennone); la seconda si allontana in silenzio, senza rivolgere nemmeno uno sguardo al suo ex amante, per colpa del quale si è suicidata. Odisseo poi vede le celebri eroine dell’antichità (lo stesso succede ad Enea) e alcuni celebri peccatori, condannati a pene diverse da Minosse, giudice infernale. Il che si ritrova nell’Eneide (Virgilio, ovviamente, non si pone problemi di autenticità, a proposito del canto XI dell’Odissea: se ne serve come di un modello, senza chiedersi se è opera di uno o più autori).

18) Nella “filosofia” virgiliana relativa alla sorte delle anime appare determinante anche : ne l’influenza di Platone: nella “Repubblica”, Platone narra il mito di Er. Morto e ritornato in vita, Er riferisce ciò che ha visto nel mondo dei morti: le anime si incarnano in corpi umani (o di animali), vivono una vita mortale, quindi tornano, per mille anni, nell’aldilà, in attesa di reincarnarsi. Durante tale periodo, devono purificarsi dalle colpe commesse nel corso della loro vita terrena. Infine, dopo avere bevuto l’acqua del Lete. che dà loro l’oblio del passato, sono pronte ad affrontare una nuova vita, incarnandosi in un nuovo essere, da loro scelto. Er ha veduto le anime raccolte nella pianura del Lete e ha riconosciuto tra loro personaggi illustri o malfamati della leggenda e della storia. Come si può notare, la somiglianza con il canto VI dell’Eneide è molto rilevante.

19) I temi dominanti nel canto VI dell’Eneide sono quelli fondamentali dell’intera opera: tra questi, domina l’esaltazione di Roma e del principato augusteo. Il ricordo e il dolore per la patria perduta sono sempre presenti, ma non più come una piaga sanguinante, bensì come un prezzo  che si è dovuto pagare per il raggiungimento di un fine superiore. Il passato è ormai morto: è il futuro che domina, che ha preso il sopravvento su qualsiasi altro sentimento umano. L’incontro con Didone, poi con Anchise, non è privo di commozione e di malinconica nostalgia. Ma si tratta di qualcosa di secondario, di marginale, rispetto all’importanza della missione assegnata all’eroe dal Fato – Provvidenza. In questo canto più che mai Enea è tutto dedito al suo compito: egli non appartiene più a se stesso, nulla gli appartiene, né passioni, né ricordi, né rimpianti. Vive solo per la missione che deve compiere: dare origine alla stirpe romana.

20) Tra la rassegna degli eroi omerici, e quella degli uomini illustri, nell’Eneide, c’è una profonda differenza: ai primi è solo affidata una pessimistica riflessione sui destini individuali: la vanità della gloria, ricercata e ambita per tutta la vita, a prezzo addirittura della vita stessa (e poi si scopre che non ne valeva la pena: la vita è l’unica cosa che conta); l’impossibilità di fidarsi del prossimo, e in particolare delle donne …non c’è nulla di profetico, nelle loro parole. Non hanno niente _ a parte Tiresia, che, comunque, si occupa esclusivamente della sorte individuale dell’eroe – da rivelare a Odisseo. Al contrario, la rassegna degli uomini illustri è il cuore del poema virgiliano: la storia antica, o contemporanea al Poeta fa irruzione nella vicenda mitica. Tutto ciò è tipicamente romano: si pensi alle “imagines maiorum” che ornavano il vestibolo delle case; ai busti di gesso, veri e propri calchi delle sembianze dei defunti, che venivano portati in processione durante i funerali dei patrizi; alle statue che sorgevano nei luoghi pubblici; all’enumerazione degli esempi degli uomini illustri, frequente nei discorsi degli oratori e degli storici latini.

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