Schema della I sequenza dei PROMESSI SPOSI (capp.1 – 8)

Cap. I SCHEMA (temi dominanti e cose notevoli)

Paesaggio (Antitesi natura – società.Rousseau. Contro il Seicento egli Spagnoli. La “modestia” insegnata alle fanciulle ecc. Cfr. paesaggio cap. IV e cap. VIII )
La passeggiata di don Abbondio
L’incontro con i bravi
Le gride contro i bravi
“Questo matrimonio non s’ha da fare”
Storia di don Abbondio
Ritorno di don Abbondio a casa sua
Perpetua
Temi dominanti e cose notevoli
Antitesi natura – società. Rousseau. Il Seicento e la dominazione spagnola. La “modestia” insegnata alle fanciulle e le “carezze” sulle spalle di padri e mariti. Cfr paesaggio cap. Iv e fine VIII
Cfr. Passeggiata di fra Cristoforo
La violenza dei potenti. Il Seicento e gli Spagnoli. Impotenza delle leggi. La giustizia.Scrupolosa documentazione storica.
La società del Seicento. Don Abbondio “vaso di coccio”e la religione come rifugio. La casa – rifugio
Il buon senso popolare

Continua a leggere

Analisi del testo: I Promessi Sposi – Il metodo

Quando, trentadue anni fa, alla mia prima esperienza di docente ginnasiale, mi ritrovai alle prese con il capolavoro manzoniano, mi chiesi perplessa: “Che ne devo fare?” Leggerne i “passi belli” ‘ o peggio, quelli “edificanti” – come era toccato a me quando ero  studentessa quindicenne in una scuola gestita da suore- era fuori questione. Non sono crociana, come lo erano i miei professori. L’idea, poi, di considerarlo un testo “religioso” mi sembrava aberrante ( idea, peraltro, non del tutto tramontata: ancora oggi mi capita di sentire colleghi laici che detestano “I promessi sposi”per motivi ideologici e lo sostituiscono con altri classici, e, viceversa, colleghi credenti che lo giudicano “insostituibile”, ma -ahimè – non per i suoi pregi storico – letterari.). Al romanzo manzoniano  non avevo dedicato particolare attenzione fino a quel momento, né all’università, né dopo. Per prima cosa, ripresi in mano il testo. Lessi e rilessi (5 – 6 volte ciascun capitolo). Per fortuna avevo molto tempo a disposizione: viaggiavo ogni giorno per Caltagirone, su uno scalcinato autobus noleggiato da noi professori. Due ore e più, ogni giorno, di letture manzoniane. Era stata da poco pubblicata la collana de “Il materiale e l’immaginario” che, nel volume riservato all’Ottocento, ha un intero fascicolo dedicato all’analisi del romanzo manzoniano. Devo senz’altro al Prof. Ceserani e ai suoi collaboratori la mia “scoperta” di Manzoni (e, negli anni successivi, al Prof. Mineo,che venne, diverse volte, nelle mie classi a parlare di Manzoni ai miei alunni). Ma restava il problema principale: come presentare un testo così complesso a ragazzini di quindici anni? L’analisi formale non era un problema: tutti i testi scolastici erano – e sono – pieni di indicazioni in tal senso. Il problema era la comprensione della problematica, del  significato dell’opera, in mancanza di adeguate conoscenze, da parte degli studenti, del contesto storico – culturale in cui essa fu composta. Avrei dovuto premettere alla lettura diretta lunghe e complicate lezioni teoriche? Parlare di illuminismo, romanticismo, delusione storica ecc.?  Avrei dovuto inserire Manzoni nel contesto del romanticismo italiano ed europeo? Ma per i ragazzini che escono dalle Medie Il romanticismo è la riscossa del sentimento – del “cuore”- contro la ragione degli illuministi. Poveri Renzo e Lucia! La loro vicenda avrebbe rischiato di essere confusa con un romanzo rosa o con una telenovela. Qualche alunno più attento avrebbe potuto  - a ragione – obiettarmi: “Ma dove sta, nei Promessi Sposi, il trionfo del sentimento? Mai una scena d’amore, niente sesso, nemmeno un bacio …”. Alla fine ho  elaborato un mio metodo. Per il quale,  se io volessi indicare un “padre nobile”  dovrei citare, con un po’ di imbarazzo – per la disinvoltura con cui mi permetto di utilizzarla, l’ Antropologia Strutturale di Lévi- Strauss (v. analisi del mito di Edipo); e poi, in un ambito del tutto diverso,” L’anello del Nibelungo” di Wagner (per la ricerca dei “temi dominanti”, cioè delle frasi musicali ricorrenti che evocano una situazione, un personaggio, un luogo ecc.).In breve: in un quadernone, esclusivamente riservato all’analisi del capolavoro manzoniano, ho enunciato, in una sorta di “colonna”, a sinistra di ciascun foglio, in forma molto sintetica, -anche in stile nominale – il contenuto di ciascun capitolo del romanzo, cominciando dall’Introduzione (allo stesso modo dei “mitemi” che costituiscono la storia di Edipo – Il buon Lévi- Strauss si rivolterà nella tomba -) A destra, in un’altra “colonna” più stretta, in colore contrastante,ho annotato tutte le “cose notevoli”, i temi dominanti, i rimandi ad altri passi, i confronti con altri autori ecc.(Qui, dato che non sono così esperta nell’uso del computer da riuscire a scrivere su colonne diverse, annoto le “cose notevoli e i temi dominanti tra parentesi, accanto alle unità narrative). Date le dimensioni dell’opera, non potevo, ovviamente, inserire tutte le unità narrative in una tabella, in cui sarebbe stato agevole leggere il testo in modo diacronico e sincronico insieme. Ma  anche da una lettura esclusivamente “orizzontale” è stato possibile cogliere le costanti, i temi ricorrenti ecc. Ma forse, la definizione più pertinente del mio metodo  - anche se assai poco “culturale” – è quella di   “metodo del limone” : anziché premettere alla lettura complicate lezioni storico -letterarie “teoriche” -poco recepibili da preadolescenti – ho preferito fare l’opposto: trattare il romanzo come un limone da spremere per ricavarne tutte le informazioni necessarie alla comprensione dell’ autore, del periodo in cui visse ecc. Leggere, rileggere, e poi rileggere ancora – tutto, parola per parola, rigorosamente in classe,dall’Introduzione al cap. 38° – per impadronirsi del testo, per penetrarvi e per scoprire, attraverso di esso, tutto un mondo di cui nessuna lezione storico – letteraria, per quanto esauriente, potrebbe mai dare un’idea adeguata: questa è la mia “ricetta”. Altro che le formulette banali di certi manuali! Per scoprire Manzoni è inutile leggere tonnellate di saggi critici, ammattire dietro le dispute letterarie, trincerarsi dietro i luoghi comuni… per scoprire Manzoni  bisogna leggere Manzoni. Ed è una grande sorpresa. Le opinioni tradizionali più consolidate si dissolvono : perché Manzoni è uno degli autori più problematici e complessi della nostra storia letteraria. (Che idea, mi sono detta, propinarlo a dei ragazzini quindicenni! Si rischia di presentarlo in modo sbagliato e superficiale, con il rischio di farlo odiare e di far detestare, tout court, la lettura! Se toccasse a me decidere, lo sconsiglierei  a chi ha meno di 40 anni! Ma, visto che devo, farò di tutto perché anche i miei giovanissimi alunni lo capiscano). C’è poi un’altra considerazione da fare: nell’intero quinquennio del liceo classico non c’è un’altra occasione per la lettura integrale di un classico. Al triennio il tempo è scarso, e il programma immenso. Né è possibile privilegiare un autore ottocentesco rispetto a quelli più recenti (troppo rischioso per chi deve affrontare gli esami di maturità). Il ginnasio è l’unico momento possibile per insegnare agli alunni un metodo di lettura e di analisi di un testo. E che tipo di testo! Per le tematiche in esso affrontate,  e il contesto in cui vide la luce, i Promessi Sposi è fondamentale, perché si colloca idealmente tra Settecento e Ottocento, in un momento cruciale che segna l’inizio dell’età moderna. E allora decisi di imperniare sui Promessi Sposi il mio insegnamento dell’italiano.

Continua a leggere

La nascita della filosofia – Dibattito impossibile

DIBATTITO IMPOSSIBILE

LA NASCITA DELLA FILOSOFIA

 

Presentatrice   Cari amici, ho il piacere di presentarvi un avvenimento d’eccezione: un dibattito “impossibile” sulla nascita della filosofia greca. Per l’occasione sono gentilmente intervenuti il Prof. Burnet, il  Prof. Cornford, il Prof. Thomson … (tende la mano per salutare i tre distinti personaggi … e si ritrae impaurita. La sua mano ha stretto … l’aria) Ah, dimenticavo, scusate! (si asciuga la fronte col fazzoletto) … i nostri illustri ospiti sono … come dire … un po’ evanescenti.

Continua a leggere

Osservazioni sull’Elettra siracusana di Lavia

OSSERVAZIONI SULL’ELETTRA SIRACUSANA DI LAVIA

La scena rappresenta una sorta di discarica di “ferro vecchio”: il palazzo degli Atridi – in sé non brutto, in quanto struttura – sembra arrugginito e in abbandono da tempo: lo evidenziano i bidoni vuoti (di colore o di antiruggine?) sparsi qua e là, in mezzo alla sabbia del proscenio. Non si capisce il motivo di una simile ambientazione: quale passo del testo sofocleo suggerisce una scelta simile? E quale arricchimento di senso ne deriva?
In armonia con un simile ambiente, i personaggi maschili sono vestiti come moderni barboni (è questo il movente di tanti efferati omicidi? Ottenere il dominio di una discarica?). Egisto, poi, con la sua truce arroganza, la sua brutalità gratuita, sembra uscito da un cartoon giapponese.
Ma il culmine dei tratti negativi di questa infelice messa in scena è rappresentato da Elettra. Non solo – e non tanto – per il costume (pantaloni e lungo cardigan laceri, capelli corti e arruffati ), ma per la sua perenne frenetica agitazione, per la sua propensione a gettarsi e a rotolarsi per terra, per la sua recitazione sempre sopra le righe, esagitata, urlata: una pazza da ricovero immediato in psichiatria, più che un’eroina tragica. Solo la Clitennestra di Maddalena Crippa – bravissima, come sempre – è all’altezza del dramma sofocleo.
Ma la cosa più intollerabile, a mio parere, è la manipolazione arbitraria del testo, i tagli effettuati. Non perché un classico non possa essere “ridotto” e sfrondato del superfluo (operazione abituale e indispensabile nel teatro scolastico, di cui ho larga esperienza). A un patto, però: che il significato di fondo resti intatto, lo spessore problematico non sia eliminato o travisato. Il che, nell’Elettra di Lavia, è puntualmente avvenuto. Cercherò, brevemente, di spiegare perché.
1) Nella tragedia greca non esiste una linea di demarcazione tra “buoni” e “cattivi”. Anche quando l’autore parteggia – sempre in modo indiretto, mai esplicito – per uno dei suoi eroi, le ragioni dell’antagonista sono ampiamente esposte, e rivestono uguale dignità di quelle del protagonista. Nella fase che definirei “crepuscolare” del teatro classico, non ci sono più, o quasi, “eroi” positivi.
Non lo è Elettra, con il suo odio cieco contro la madre – del cui agire disconosce le motivazioni, o, se si vuole, le attenuanti – e tanto meno Oreste, abile simulatore e calcolatore. Allo stesso modo, non sono del tutto “nobili” e disinteressate le ragioni del matricidio, il cui movente non è solo la vendetta dell’uccisione di Agamennone, bensì il recupero dell’eredità paterna e dello status sociale ad essa legato. Del resto – se, come dice la protagonista – “Il male si impara dal male” e lei stessa ritiene di avere appreso da Clitennestra l’odio e lo spirito di vendetta, è evidente che la semplicistica divisione tra “buoni” (Elettra e Oreste) e “cattivi” (Clitennestra ed Egisto) è frutto di un’operazione di banalizzazione e di semplificazione del dramma, che mira solo alla conquista di una facile “audience”.
2) Tra le opere sofoclee a noi pervenute, l’Elettra è, indiscutibilmente, una delle più antifemministe. E di questo antifemminismo becero si fa portavoce soprattutto la protagonista, Elettra, con la sua svalutazione del ruolo materno, il suo disprezzo per Crisotemi, che preferisce essere chiamata “figlia di sua madre”, la sua accettazione della subordinazione femminile, la sua giustificazione del barbaro assassinio della sorella … Espressione della cultura e della mentalità dell’Atene classica, naturalmente. Non “colpe” da addebitare alla protagonista. Ma le sue parole, i suoi atteggiamenti “politicamente scorretti” non sembrano i più idonei ad attirarle le simpatie di un pubblico moderno e – a volte- poco “acculturato”. E allora la soluzione più sbrigativa, più semplice, è quella di “tagliare” tutte le battute contro le donne, allo scopo di ottenere un facile consenso. La tragedia ne risulta snaturata. Elettra viene ridotta a un’icona vivente del dolore, ma non dell’odio. Quando Oreste colpisce a morte la madre, l’Elettra di Sofocle grida, spietata: “Colpisci due volte!”. Quella di Lavia tace, e aspetta in silenzio l’esito dell’azione. Per i tragici – per tutti e tre – il teatro è rappresentazione fedele della realtà , senza censure né attenuazioni dei suoi aspetti più ostici e duri. Anzi esso è il luogo privilegiato della riflessione critica, della rimessa in discussione del passato e del presente. Il maschilismo dominante è in sostanza condiviso, o almeno accettato da loro. Ma tuttavia costituisce un problema, che a volte genera mostri. E la tragedia greca non manca di evidenziarli. Per Lavia, invece, il teatro è essenzialmente spettacolo, finalizzato a un facile successo.
Il che significa essere distanti dal teatro classico milioni di anni luce.
3) Coerentemente con questa impostazione, il regista (o qualche suo discutibile consulente) ha deciso di “correggere” Sofocle, modificando e ampliando, con una frase banalmente moraleggiante, i versi conclusivi del coro. Il cui senso, a mio parere, è molto più problematico di quanto si faccia abitualmente apparire: “O stirpe di Atreo, dopo avere molto sofferto nella tua ricerca di una liberazione (διά + il genitivo non indica un punto di arrivo, cioè, scolasticamente, un moto a luogo, bensì un moto per luogo, un percorso) a fatica, grazie a una simile impresa sei pervenuto, giunto a maturità”. Ma quella che ai figli di Agamennone sembra la “liberazione” è veramente tale? Si tratta davvero della fine delle travagliate vicende della “maledetta” casata degli Atridi? E il coro – espressione della polis democratica- è davvero consenziente con “l’impresa” di Oreste e di Elettra? Certo, essa rappresenta il culmine, lo sbocco naturale di una interminabile catena di delitti “contro natura” per i quali i cittadini di Atene non possono provare che orrore.