La nascita della filosofia – Dibattito impossibile

DIBATTITO IMPOSSIBILE

LA NASCITA DELLA FILOSOFIA

 

Presentatrice   Cari amici, ho il piacere di presentarvi un avvenimento d’eccezione: un dibattito “impossibile” sulla nascita della filosofia greca. Per l’occasione sono gentilmente intervenuti il Prof. Burnet, il  Prof. Cornford, il Prof. Thomson … (tende la mano per salutare i tre distinti personaggi … e si ritrae impaurita. La sua mano ha stretto … l’aria) Ah, dimenticavo, scusate! (si asciuga la fronte col fazzoletto) … i nostri illustri ospiti sono … come dire … un po’ evanescenti.

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Osservazioni sull’Elettra siracusana di Lavia

OSSERVAZIONI SULL’ELETTRA SIRACUSANA DI LAVIA

La scena rappresenta una sorta di discarica di “ferro vecchio”: il palazzo degli Atridi – in sé non brutto, in quanto struttura – sembra arrugginito e in abbandono da tempo: lo evidenziano i bidoni vuoti (di colore o di antiruggine?) sparsi qua e là, in mezzo alla sabbia del proscenio. Non si capisce il motivo di una simile ambientazione: quale passo del testo sofocleo suggerisce una scelta simile? E quale arricchimento di senso ne deriva?
In armonia con un simile ambiente, i personaggi maschili sono vestiti come moderni barboni (è questo il movente di tanti efferati omicidi? Ottenere il dominio di una discarica?). Egisto, poi, con la sua truce arroganza, la sua brutalità gratuita, sembra uscito da un cartoon giapponese.
Ma il culmine dei tratti negativi di questa infelice messa in scena è rappresentato da Elettra. Non solo – e non tanto – per il costume (pantaloni e lungo cardigan laceri, capelli corti e arruffati ), ma per la sua perenne frenetica agitazione, per la sua propensione a gettarsi e a rotolarsi per terra, per la sua recitazione sempre sopra le righe, esagitata, urlata: una pazza da ricovero immediato in psichiatria, più che un’eroina tragica. Solo la Clitennestra di Maddalena Crippa – bravissima, come sempre – è all’altezza del dramma sofocleo.
Ma la cosa più intollerabile, a mio parere, è la manipolazione arbitraria del testo, i tagli effettuati. Non perché un classico non possa essere “ridotto” e sfrondato del superfluo (operazione abituale e indispensabile nel teatro scolastico, di cui ho larga esperienza). A un patto, però: che il significato di fondo resti intatto, lo spessore problematico non sia eliminato o travisato. Il che, nell’Elettra di Lavia, è puntualmente avvenuto. Cercherò, brevemente, di spiegare perché.
1) Nella tragedia greca non esiste una linea di demarcazione tra “buoni” e “cattivi”. Anche quando l’autore parteggia – sempre in modo indiretto, mai esplicito – per uno dei suoi eroi, le ragioni dell’antagonista sono ampiamente esposte, e rivestono uguale dignità di quelle del protagonista. Nella fase che definirei “crepuscolare” del teatro classico, non ci sono più, o quasi, “eroi” positivi.
Non lo è Elettra, con il suo odio cieco contro la madre – del cui agire disconosce le motivazioni, o, se si vuole, le attenuanti – e tanto meno Oreste, abile simulatore e calcolatore. Allo stesso modo, non sono del tutto “nobili” e disinteressate le ragioni del matricidio, il cui movente non è solo la vendetta dell’uccisione di Agamennone, bensì il recupero dell’eredità paterna e dello status sociale ad essa legato. Del resto – se, come dice la protagonista – “Il male si impara dal male” e lei stessa ritiene di avere appreso da Clitennestra l’odio e lo spirito di vendetta, è evidente che la semplicistica divisione tra “buoni” (Elettra e Oreste) e “cattivi” (Clitennestra ed Egisto) è frutto di un’operazione di banalizzazione e di semplificazione del dramma, che mira solo alla conquista di una facile “audience”.
2) Tra le opere sofoclee a noi pervenute, l’Elettra è, indiscutibilmente, una delle più antifemministe. E di questo antifemminismo becero si fa portavoce soprattutto la protagonista, Elettra, con la sua svalutazione del ruolo materno, il suo disprezzo per Crisotemi, che preferisce essere chiamata “figlia di sua madre”, la sua accettazione della subordinazione femminile, la sua giustificazione del barbaro assassinio della sorella … Espressione della cultura e della mentalità dell’Atene classica, naturalmente. Non “colpe” da addebitare alla protagonista. Ma le sue parole, i suoi atteggiamenti “politicamente scorretti” non sembrano i più idonei ad attirarle le simpatie di un pubblico moderno e – a volte- poco “acculturato”. E allora la soluzione più sbrigativa, più semplice, è quella di “tagliare” tutte le battute contro le donne, allo scopo di ottenere un facile consenso. La tragedia ne risulta snaturata. Elettra viene ridotta a un’icona vivente del dolore, ma non dell’odio. Quando Oreste colpisce a morte la madre, l’Elettra di Sofocle grida, spietata: “Colpisci due volte!”. Quella di Lavia tace, e aspetta in silenzio l’esito dell’azione. Per i tragici – per tutti e tre – il teatro è rappresentazione fedele della realtà , senza censure né attenuazioni dei suoi aspetti più ostici e duri. Anzi esso è il luogo privilegiato della riflessione critica, della rimessa in discussione del passato e del presente. Il maschilismo dominante è in sostanza condiviso, o almeno accettato da loro. Ma tuttavia costituisce un problema, che a volte genera mostri. E la tragedia greca non manca di evidenziarli. Per Lavia, invece, il teatro è essenzialmente spettacolo, finalizzato a un facile successo.
Il che significa essere distanti dal teatro classico milioni di anni luce.
3) Coerentemente con questa impostazione, il regista (o qualche suo discutibile consulente) ha deciso di “correggere” Sofocle, modificando e ampliando, con una frase banalmente moraleggiante, i versi conclusivi del coro. Il cui senso, a mio parere, è molto più problematico di quanto si faccia abitualmente apparire: “O stirpe di Atreo, dopo avere molto sofferto nella tua ricerca di una liberazione (διά + il genitivo non indica un punto di arrivo, cioè, scolasticamente, un moto a luogo, bensì un moto per luogo, un percorso) a fatica, grazie a una simile impresa sei pervenuto, giunto a maturità”. Ma quella che ai figli di Agamennone sembra la “liberazione” è veramente tale? Si tratta davvero della fine delle travagliate vicende della “maledetta” casata degli Atridi? E il coro – espressione della polis democratica- è davvero consenziente con “l’impresa” di Oreste e di Elettra? Certo, essa rappresenta il culmine, lo sbocco naturale di una interminabile catena di delitti “contro natura” per i quali i cittadini di Atene non possono provare che orrore.

La tarda età del bronzo: la civiltà di Pantalica

LA CIVILTA’ DI PANTALICA
TARDA ETA’ DEL BRONZO
( distinta in tre fasi: civiltà di Pantalica nord, dal 1270 al 1000; civiltà di Cassibile, dal 1000 all’850; civiltà di Pantalica sud, dall’800 al 750 a. C.)
La civiltà di Pantalica nord (1270 – 1000 a. C.)
Pantalica – ma questo è un nome di epoca bizantina: in origine, probabilmente, si chiamava Ibla – è una fortezza naturale, un monte che si eleva a dominare la valli circostanti, il canyon scavato dall’Anapo e dal suo affluente, il Calcinara, e il vasto altopiano a cui è unito dalla stretta sella di Filiporto. Il complesso archeologico – scoperto da Paolo Orsi – è uno dei più vasti e suggestivi della Sicilia orientale (80 ettari di superficie, più di 5 km. di perimetro): comprende una vastissima necropoli – circa 5000 tombe a grotticella artificiale, e i resti di un anaktoron (cioè di un palazzo principesco) che riproduce e imita, in piccolo, i palazzi micenei dell’Argolide.
La fase più antica della cultura di Pantalica, la più interessante, non mostra alcun indizio dell’arrivo di genti nuove e di nuovi apporti culturali. L’influsso miceneo è più marcato di quanto non lo fosse in precedenza, sia nei riti funebri e nella forma delle tombe (camere sepolcrali scavate nel calcare), sia nella ceramica, il cui impasto è più fine ed è – finalmente – fatta al tornio, e caratterizzata da un bel colore rosso vivo: le forme tipiche sono i grandi vasi cuoriformi su altissimo piede; le hydrie – cioè i vasi per l’acqua – panciute e dotate di quattro piccole anse, le bottiglie monoansate con un beccuccio fornito di una specie di filtro, le cosiddette teiere. Riconducibili a modelli minoico – micenei sono i grandi anelli d’oro decorati con motivi spiraliformi o con figure di pesci stilizzati o con l’occhio apotropaico ( = che scaccia il malocchio); e anche i bronzi, che ci sono stati restituiti, numerosissimi – segno che il bronzo era ormai destinato all’uso quotidiano – dai corredi funerari: pugnali, rasoi, coltellini con lama detta a fiamma, fibule ad arco semplice o ad arco di violino, caratterizzato da una specie di occhiello rotondo a un’estremità (v. foglio 3, figure B, C, D, E, F, G, H, I). Particolare interesse riveste l’anaktoron, per la tecnica di costruzione a grandi blocchi grossolanamente squadrati, per la forma rettangolare o quadrangolare degli ambienti di cui era composto, che si ispira, su scala ridotta, ai palazzi achei. Nel megaron è stato rinvenuto il grande vaso su alto piede che è un po’ il simbolo della cultura di Pantalica nord. In una stanza secondaria sono state scoperte delle forme di arenaria per la fusione di oggetti in bronzo: segno, questo, che il sovrano di Pantalica aveva il monopolio della lavorazione dei metalli: come il wanax miceneo, accentrava nelle sue mani ogni potere, e presiedeva alla vita economica del suo regno, che si estendeva dal monte Lauro fino al mare.
Dell’abitato corrispondente alla più antica necropoli (quella di nord – ovest) non si è trovata traccia: si trattava, evidentemente, di capanne costruite con materiale facilmente deperibile. Altri villaggi, di piccole dimensioni, dovevano sorgere sull’altopiano e nella zona circostante. Tra questi, il più importante era quello del sito in cui, secoli dopo, sarebbe sorte Akrai (oggi Palazzolo Acreide), la cui esistenza è testimoniata da una piccola necropoli (circa 50 tombe).
Verso il 1000 a. C. Pantalica sembra avere perduto importanza e abitanti. Ha inizio la seconda fase della tarda età del bronzo, che dal suo sito più rilevante, Cassibile, prende il nome di
Civiltà di Cassibile (1000 – 850 a. C.)
Il villaggio preistorico di Cassibile (di cui non ci è rimasto nulla) si trovava a una ventina di Km. da Noto, anch’esso situato su una montagna di difficile accesso, ai piedi della quale scorre, in uno scenario selvaggio e suggestivo, il fiume omonimo. La necropoli corrispondente comprende oltre 2000 tombe a grotticella artificiale ( segno, questo, dell’importanza dell’abitato) mentre a Pantalica le tombe risalenti a questo periodo sono pochissime.
Altre necropoli notevoli di questa fase sono quelle del Dessueri, del Mulino della Badia (presso Grammichele), di Calascibetta. Neanche qui si è trovata traccia dei villaggi.
La ceramica di questa seconda fase è quella cosiddetta piumata, simile a quella ausonia delle Eolie. Ma le forme sono diverse: solo in parte conservano le forme dell’età precedente; molte sono nuove: secchielli, piattini su alto piede (probabilmente lampade) ecc. Anche le fibule hanno una forma diversa (con arco a gomito), anch’essa riscontrabile sull’acropoli di Lipari (e non solo: fibule simili sono state trovate in Palestina). Ma gli influssi culturali più rilevanti sono di tipo occidentale: soprattutto per quanto riguarda i bronzi siciliani di questo periodo, che presentano strette affinità con quelli spagnoli, francesi e inglesi. Si tratta di rasoi quadrangolari o “a foglia”, di asce dette “a cannone”, di coltellini con manico “a occhio”. Queste analogie non sono sicuramente accidentali: esse sono dovute al commercio dei Fenici, che costituiscono, in questo periodo,il principale tramite fra Oriente e Occidente, collegando paesi tra loro lontanissimi (si tenga presente che questi sono, per la Grecia, i “secoli oscuri”; che la civiltà micenea è crollata e che il dominio dei mari è ora dei mercanti fenici). All’influsso fenicio pare si debba anche la forma della “oinochoe a bocca trilobata” (parola difficile, alla lettera “brocca versa – vino), che designa l’antenata della cannata siciliana).
La terza fase della tarda età del bronzo comprende poco più di un secolo e viene denominata
Civiltà di Pantalica sud
(850 -730 a. C. circa)
Essa è rappresentata soprattutto dalle necropoli della zona meridionale di Pantalica, Filiporto e Cavetta.
Le forme della ceramica cambiano, per influsso dello stile geometrico greco: oltre alle oinochoai a bocca trilobata, di cui si è già parlato, appaiono scodellini a profilo carenato, àskoi, boccali. Insieme alla decorazione “piumata” troviamo una decorazione a solchi paralleli eseguiti al tornio o con incisioni a stecca su fondo grigio; anche le forme delle fibule sono diverse: l’arco è più piccolo, lo spillo si allunga e si incurva; si trovano anche anelli, bottoni, spirali a disco o a cilindro (v. figura). In questo periodo Pantalica doveva avere riacquistato la primitiva importanza, testimoniata anche dalle tombe principesche, di dimensioni veramente notevoli e riecheggianti le tholoi micenee (si trovano nelle balze rocciose sottostanti all’anaktoron). Probabilmente in una di queste fu sepolto il re Hyblon, quello che concesse ai Megaresi di Lamis quel lembo di territorio su cui doveva sorgere, negli stessi anni in cui coloni corinzi fondavano Siracusa, o poco prima (735 – 734 a. C., ma la questione è controversa), Megara Hyblea.
La costa orientale, fino a quel momento poco popolata (c’era solo un gruppo di Siculi, le cui capanne – o meglio, racce di esse – sono state rinvenute sull’Ortigia, parte sotto l’attuale via Minerva, parte sotto il municipio) si accingeva ad essere letteralmente “invasa” dalle colonie greche, che avrebbero influenzato in maniera determinante la successiva fase culturale indigena ( civiltà del Finocchito, 730 – 650 a. C. circa), fino a soppiantarla del tutto. Tra queste, la più forte, Siracusa, avrebbe determinato anche il declino di Pantalica.
Queste lezioni sono una sintesi (parziale) de La Sicilia prima dei Greci, di L. Bernabò Brea, Milano 1966.

La Sicilia nell’età del bronzo

LA SICILIA NELL’ETA’ DEL BRONZO
L’antica età del bronzo: la cultura di Castelluccio (1800 – 1400 circa)
Mentre nell’età del rame (III millennio, inizi del II a.C.) la Sicilia presentava una notevole varietà di culture, nell’età del bronzo si afferma una cultura unitaria, artisticamente rigida e conservatrice, che prende il nome dal suo centro più importante, Castelluccio (sito preistorico individuato da Paolo Orsi, a una ventina di Km. da Noto) e che presenta caratteri simili in tutta la parte orientale e meridionale dell’isola, fino all’agrigentino.
La Sicilia occidentale è invece caratterizzata dalla cultura della Conca d’Oro – e poi della Moarda – che è la prosecuzione, senza cesure, della fase precedente, aperta a influssi occidentali, soprattutto iberici (ne è espressione tipica il bicchiere campaniforme ).
Le isole Eolie, dopo un lungo periodo di crisi, conoscono una nuova rifioritura (civiltà di Capo Graziano) grazie alla loro fortunata posizione di collegamento tra il Mediterraneo occidentale e quello orientale (area egeo – anatolica). Questa è proprio la caratteristica fondamentale della prima età del bronzo: l’intensificarsi di scambi culturali e commerciali anche tra paesi lontanissimi, in particolar modo tra la Cornovaglia (da cui proveniva lo stagno), attraverso le coste atlantiche della Francia, l’Aquitania, quindi le coste tirreniche fino allo stretto di Messina, e il mondo egeo – anatolico: come in passato, sarà proprio la civiltà del medio e tardo elladico (quella micenea in particolare) a influenzare notevolmente la cultura inglese del Wessex e tutte quelle costiere del Mediterraneo occidentale. Anzi, è il mondo egeo a costituire il punto di riferimento cronologico che ci permette di datare con una discreta approssimazione le culture siciliane ed eoliane di questa prima fase dell’età del bronzo: gli oggetti di sicura provenienza micenea (v. ad esempio il pomello di spada micenea, foglio 1, fig. 4) rinvenuti in Sicilia, le somiglianze tipologiche tra le ceramiche castellucciane ed eoliane e quelle del medio elladico ci inducono a fissare il periodo che va dal 1800 al 1400 a. C. circa come epoca di fioritura della più antica civiltà del bronzo in Sicilia.
La cultura di Castelluccio – tralasciamo le altre culture coeve in Sicilia – in sintesi è caratterizzata dai seguenti elementi:
- La ceramica è fatta a mano (il tornio non è ancora conosciuto) e presenta decorazioni geometriche brune su fondo rosso o giallino (v. foglio 1, figure 1a, 1b, 1c);
- Gli abitati erano situati prevalentemente nell’interno, su colline, in posizione amena; qualche volta erano fortificati da un aggere di pietrame. Le capanne avevano pianta ovale o circolare. I villaggi – di cui abbiamo scarse testimonianze – sorgevano l’uno vicino all’altro, in modo che gli specialisti metallurghi potessero girare facilmente da un abitato all’altro. Il metallo, però, era ancora relativamente raro e quindi molto pregiato. All’uso quotidiano erano destinati prevalentemente gli strumenti litici (di selce o quarzite), eredità del passato;
- le necropoli a grotticella artificiale sono costituite da stanze sepolcrali collettive, del diametro di 1 – 2 metri, scavate nelle balze calcaree (il calcare è una roccia poco dura, facile da lavorare); alcune tombe sono precedute da un vestibolo a pilastri, raro esempio di architettura preistorica in Sicilia. Le camere sepolcrali, di forma ovale, erano chiuse a volte con semplici muretti a secco, a volte con portelli in pietra, di altezza variabile tra i 70 e i 90 cm., decorati con motivi spiraliformi in rilievo, che richiamano vagamente le sculture dei templi megalitici della coeva civiltà di Tarxien (pronuncia Tarscé) e tipi sepolcrali egeo – anatolici (v. fig. 2);
- intensi erano gli scambi culturali con la Grecia e l’Asia Minore: ad esempio sono stati rinvenuti, nei villaggi castellucciani, degli strani ossi a globuli (v. figura 3) che probabilmente erano idoletti (qualcuno era stato scoperto anche nei siti dell’età del rame) identici a quelli trovati a Troia II e III, a Lerna in Argolide, a Malta.
Particolarmente assidui erano scambi e contatti tra Malta e la gente “castellucciana”, ad esempio con gli abitanti dell’Ognina, isoletta che si trova un po’ più a sud di Siracusa: qui è stata scoperta una gran quantità di ceramica grigia impressa, decorata con un materiale gessoso – diversissima, quindi, da quella siciliana dell’antica età del bronzo – tipica dello stile di Tarxien, ma simile anche a un particolare tipo di ceramica meso – elladica rinvenuta dal Dörpfeld nell’Altis di Olimpia. Alcuni hanno ipotizzato addirittura un insediamento commerciale maltese all’Ognina. Insomma, in questo periodo la Sicilia non è abitata solo dalle popolazioni agricolo – pastorali castellucciane: essa è centro e tramite di scambi intensi tra popoli marinari, provenienti da tutto il Mediterraneo: Maltesi e Micenei, Micro-asiatici e Franco-iberici (certe fortificazioni di pietrame dei villaggi castellucciani sono identiche a quelle dei villaggi preistorici della Francia meridionale, del Portogallo, della Spagna), per non parlare delle genti eoliane della cultura di Capo Graziano.

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La Sicilia nell’età del rame (2)

d) L’età del rame nella Sicilia occidentale: la cultura della Conca d’Oro
Nella Sicilia nord – occidentale in questo periodo si afferma la cultura della Conca d’Oro, così chiamata dall’archeologa Marconi Bovio perché la maggior parte dei reperti proviene dalla zona di Palermo e dintorni. Meno conosciuta la fascia costiera della provincia di Trapani e quella settentrionale che si affaccia sul Tirreno.
Conosciamo questa cultura solo attraverso il ritrovamento di alcune sepolture, effettuate sia in grotte naturali che in celle scavate nella roccia (cioè di tipo orientale ) e dei loro corredi funebri. Si tratta di tombe a forno, alcune a più stanze sepolcrali (del diametro di due metri al massimo), a cui si accede dal fondo di un pozzetto verticale. In ogni celletta si trovavano diversi scheletri rannicchiati, circondati dal corredo funebre costituito da armi, vasi, strumenti di pietra e di osso, e, in un caso, anche da due idoletti fittili. Come nelle epoche più antiche, sui defunti era sparsa ocra macinata di colore rosso.
I vasi riferibili all’età del rame ( ma ce ne sono altri, di epoca successiva: le tombe erano usate per secoli) sono decorati ( stile della CONCA d’ORO) da linee o coppie di linee incise fiancheggiate da punti impressi, in modo simile allo stile di San Cono – Piano Notaro (ma le forme sono diverse: prevalgono le ollette globulari, i bocca letti con una sola ansa e i vasetti gemini. Un esemplare particolarmente rappresentativo è il bicchiere di Carini, la cui forma sembra imitare il bicchiere campaniforme della Spagna, probabile indizio, questo, di contatti tra la Sicilia occidentale e la penisola iberica. Ma gran parte dei vasi attesta anche il contatto con le culture della Sicilia orientale ( San Cono – Piano Notaro, Malpasso e Sant’Ippolito)
L’industria dell’età del rame in Sicilia
Mentre per la ceramica è possibile, grazie alla stratigrafia dei siti più rilevanti, stabilire una cronologia relativa, per le altre categorie di oggetti ciò è impossibile, perché in massima parte non sono stati rinvenuti in strati associabili a precisi stili ceramici. Essi si possono così classificare:
• amuleti : cornetti fittili
• oggetti di uso quotidiano: fuseruole, rocchetti, pesi di varie forme, cucchiai, coperchi costituiti da un disco di terracotta forato sui margini, oppure a forma di cono sormontato da una presa
• rari oggetti metallici: un pugnale, un braccialetto, un anello
• armi litiche: asce a “ferro da stiro” con foro cilindrico, teste di mazza tondeggianti con foro cilindrico (cfr. Troia, ed Egitto), accette levigate in basalto o in pietra verde, punte di freccia in selce a ritocco bifacciale, lame di selce e grattatoi
• macine grandi e piccole, arnesi per triturare
• un idoletto di pietra (grotta del Conzo) simile a quelli della penisola iberica.
In questo periodo in Sicilia si diffonde una nuova tecnica di lavorazione della selce (industria campignana) finalizzata alla produzione di strumenti di proporzioni (relativamente) grandi rispetto al passato: da grossi pezzi di selce, mediante percussori, si ricavano arnesi grossolanamente appuntiti, o grattatoi a disco, amigdale con ritocco bifacciale, e i cosiddetti tranchet ( cioè delle asce). Viene utilizzata una selce biancastra opaca, meno “raffinata” di quella usata anticamente, o addirittura calcare silicioso. Dobbiamo a Ippolito Cafici la scoperta di numerosissime officine “campignane” nella zona dei Monti Iblei (territori di Vizzini, Licodia Eubea, Monterosso Almo, Giarratana …), che è ricca di strati di selce affioranti in superficie, insieme a strati calcarei.

La Sicilia nell’età del rame (1)

L’ETA’ DEL RAME IN SICILIA : a) il contesto mediterraneo

L’età del rame in Sicilia costituisce un momento di rottura e di cambiamento radicale rispetto al neolitico , il quale, pur nei suoi vari aspetti, aveva mantenuto a lungo un carattere unitario di fondo che accomunava le culture della Sicilia, dell’Italia meridionale e delle Eolie.
L’età del rame, al contrario, è tutt’altro che unitaria; essa appare, invece, il risultato di influenze culturali diverse. L’origine, come al solito, va individuata nell’Anatolia e nelle isole dell’Egeo, perché solo in questi luoghi si ritrovano, tutti insieme, gli aspetti e gli elementi che troviamo sparsi nelle altre culture. Dall’Oriente si diffonde ben presto in tutto il bacino del Mediterraneo, grazie ai progressi compiuti nella tecnica della navigazione. Si intraprendono nuove rotte: non più lungo le coste o tra le isole. Ora, con le navi che troviamo raffigurate sulle “padelle” cicladiche (fig.1) si può affrontare il mare aperto, il canale di Sicilia in primo luogo, anziché il “ponte” Pelagosa – Tremiti, o lo stretto di Messina. La nuova ondata culturale può ora raggiungere, senza ristagni e mediazioni secolari, la Sardegna e le coste occidentali del Mediterraneo (Francia meridionale e Spagna), oltre, naturalmente, alla Sicilia. Le Eolie sono tagliate fuori dalle nuove rotte e conoscono un periodo di decadenza: l’ossidiana ormai è diventata obsoleta, dati i progressi della metallurgia ( si pratica la fusione non solo del rame, ma anche dell’argento, dell’oro e del piombo). Anche se meno raffinata dal punto di vista artistico ( le ceramiche sono più semplici ed essenziali ) questa nuova civiltà è molto più progredita in molti campi, e in particolare nella struttura degli abitati e nell’organizzazione sociale: si costruiscono città fortificate con mura, strade e piazze, pozzi e granai pubblici. Le case non sono più costituite da capanne, ma sono edifici a più ambienti che si sviluppano attorno a una stanza rettangolare centrale (MEGARON).
Siamo alla fine del IV millennio a. C. : nell’isola di Lemno l’abitato di Poliochni diventa una vera e propria città (Periodo Azzurro,tra il 3200 e il 2800 a. C.) con grandi mura a secco, case a pianta rettangolare di una o due stanze: elemento fondamentale (anche della futura architettura greca) il megaron con l’ingresso sul lato breve rivolto a sud e un piccolo portico affacciato su un cortile lastricato. Un paio di secoli dopo viene fondata Troia ( Troia I, tra il 2920 e il 2350 a. C.) anch’essa circondata da mura di fortificazione a secco e da case – megaron (fig. 2). Caratteristiche simili presenta Thermi, nell’isola di Lesbos. Insomma, la società diventa più complessa e organizzata.
Anche nel Mediterraneo occidentale si sviluppano fiorenti civiltà urbane simili a quelle dell’Egeo orientale e della costa turca: quella di Anghelu Ruju in Sardegna, di Tarxien a Malta (caratterizzata da una spettacolare architettura megalitica), di Almeria in Spagna, di Fontbouisse in Francia.
Ma le innovazioni riguardano tutti i settori, non solo le strutture degli abitati: le credenze religiose, i riti funebri, le tecniche “industriali” (nuovi tipi di armi e di strumenti, nuove forme nella ceramica).
Il fenomeno più vistoso riguarda il rituale funebre: non più tombe isolate in fosse pavimentate con lastre di pietra, come nel neolitico, ma sepolture collettive nelle tombe a grotticella artificiale, vere cappelle “di famiglia” che vengono scavate per lo più nel calcare, a volte invece nel terreno, a forma di un pozzo da cui si accede a una o più stanze funerarie “a forno”, oppure sepolture in grandi giare o vasi (soprattutto per i bambini) dette, con termine greco, “a enchytrismòs”: anche questo è indizio della maggiore importanza acquistata dalla comunità familiare o etnica, e anche delle crescenti differenze sociali (ricchezza dei corredi funebri, maggiore grandiosità delle tombe di personaggi importanti ecc.) Le tombe a grotticella artificiale, non più isolate, ma riunite in vaste necropoli, sono di origine egeo – anatolica, ma si diffondono dovunque, nel Mediterraneo orientale (Palestina, Cipro, Cicladi, Peloponneso, Creta) e in parte anche in quello sud – occidentale, in Italia fino all’Arno, in Sicilia, in Sardegna (in misura limitata), nelle regioni costiere di Spagna e Francia meridionali. Nell’Europa nord – occidentale, invece, dalla Sardegna (in prevalenza), alla Francia, alla Spagna e lungo le coste atlantiche fino alla Scandinavia, viene preferita la sepoltura nei dolmen, anch’esse tombe collettive, anch’esse segno di distinzione sociale (corredi funebri e offerte sacrificali tanto più ricche e abbondanti quanto più era importante il defunto) ma a struttura megalitica.
Per quanto riguarda le credenze religiose – di cui possiamo ricostruire ben poco – possiamo notare l’amplissima diffusione di diversi simboli apotropaici (cioè portafortuna) come gli occhi e le corna, che ancora oggi sono usati con la stessa funzione (gli occhi in Turchia e in Grecia, il cornetto rosso da noi). Forse analoga funzione di “difesa” contro i malintenzionati avevano le statue – stele rinvenute a Troia I, a Malta, in Corsica e nella Francia meridionale (Figura 3). Identici idoletti dalle forme stilizzate sono stati trovati nelle Cicladi e in Sardegna. Gli strumenti litici o di osso cambiano forme e dimensioni: tra i primi notiamo l’ascia da combattimento (assente però in Sicilia) e le teste di mazza (ben presenti da noi); tra i secondi, delle placchette decorate con cerchi o degli strani ossi a globuli, diffusi gli uni e gli altri a Troia, a Lerna nel Peloponneso, a Malta, e anche in Sicilia, soprattutto nella successiva età del bronzo antico (le forme, le decorazioni ecc. hanno una diffusione lenta, secolare addirittura, come, del resto, assai lenta è la diffusione della civiltà del rame: non è strano che un oggetto tipico di questa cultura si trovi in Anatolia o in Grecia diversi secoli prima che esso diventi “alla moda” in Sicilia o nei paesi occidentali).
Anche le nuove forme della ceramica (fiaschetti, brocche con l’orlo obliquo, bicchieri a clessidra, scodelloni con becco cilindrico ecc.) hanno origini orientali e giungono lentamente in Sicilia a soppiantare le antiche forme in uso nel neolitico. Ma se l’influenza più determinante sui paesi del bacino occidentale del Mediterraneo è quella anatolica ed egea, non bisogna però sottovalutare gli importanti contributi nord – orientali delle culture danubiane. Ogni cultura elabora una propria facies individuale tenendo conto sia delle eredità del “suo” passato sia degli apporti nuovi, scegliendo ciò che le è più congeniale, ed influenzando, a sua volta, altre culture più o meno vicine. Ad esempio, l’importante cultura spagnola detta “del bicchiere campaniforme”, come le altre espressioni della cultura di Almeria (i bottoni forati a V, i grandi pugnali e le punte di freccia in selce) trovano una larga diffusione in tutto il Mediterraneo occidentale, dalla Sardegna all’Italia, in Sicilia e a Malta, e giungono fino alle valli del Reno e del Danubio, e alle isole britanniche.
b) Fasi della civiltà del rame in Sicilia
Il panorama culturale della Sicilia nel III millennio a. C. è molto complesso. Possiamo distinguere grosso modo due diverse zone: quella nord – occidentale (attuali province di Trapani e Palermo) e quella nord – orientale che include anche la parte centrale dell’isola. Anche in questo caso, per ricostruire la successione, e quindi la cronologia relativa delle varie culture, dobbiamo avvalerci dello studio della stratigrafia. Le isole Eolie, divenute marginali in questo periodo ed entrate nell’orbita delle culture occidentali, non possono fornirci valide indicazioni. In questo caso è la stratigrafia della grotta Chiusazza, nel siracusano, a mostrarsi determinante. Procedendo dalla superficie del piano di calpestio agli strati inferiori (cioè a ritroso nel tempo, dato che gli strati più bassi sono i più antichi) incontriamo i seguenti strati, corrispondenti a epoche diverse:
1) Uno strato di epoca storica, greca, con tracce di culto: evidentemente la grotta era considerata sacra.
2) Uno strato della media età del bronzo ( dal che si deduce che per molti secoli la grotta era stata abbandonata) cioè riferibile alla cultura di Thapsos (1450 – 1200 a. C. circa)
3) Uno strato dell’antica età del bronzo, della cultura di Castelluccio (1800 – 1450 a. C. circa)
4) Uno strato della tarda età del rame, della cultura detta di Malpasso: malgrado l’abbondanza di oggetti fittili che accomuna questo strato a quello successivo, più antico, bisogna però notare una forte cesura tra questa facies culturale e quella che la precede.
5) Uno strato della media età del rame (cultura di Serraferlicchio) che non presenta, invece, una netta differenziazione rispetto alla cultura dello strato più antico.
6) Uno strato dell’antica età del rame (culture del Conzo, della ceramica buccheroide, e di San Cono – Piano Notaro)
7) Infine, lo strato più antico di tutti, risalente addirittura all’ultimo periodo del neolitico (ceramica dello stile di Diana).
• Altri rinvenimenti significativi sono stati effettuati nelle grotte del Conzo, Genovese e Palombara (sempre nel siracusano), ma mescolati e confusi tra loro, in modo tale da non consentirci di stabilire una successione. Il reperto più significativo è una testa di mazza globulare, di marmo, con foro cilindrico, che presenta forti analogie con quelle coeve di Troia.
La successione delle culture siciliane nell’età del rame è dunque la seguente:
a) Antica età del rame : culture di San Cono e Piano Notaro,del Conzo e della ceramica buccheroide.
Il villaggio preistorico di San Cono ( che non ha niente a che vedere con l’attuale paese omonimo) fu scoperto tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento dai fratelli Corrado e Ippolito Cafici : si estendeva su una collinetta isolata, nella regione dei monti Iblei, a mezza strada tra Vizzinie e Licodia Eubea. Vi sono state rinvenute tracce di capanne, macine e macinelle di pietra, abbondante industria litica di vario tipo, più due tombe (una ancora di tipo neolitico, a fossa e coperta con grosse lastre di pietra; l’altra del tipo caratteristico dell’età del rame: un pozzetto di forma cilindrica scavato nel terreno, dal quale si accede alla vera e propria tomba “a forno”).
Un altro gruppo di tombe ancora di tipo neolitico (fosse circolari coperte da lastre di pietra e scheletro rannicchiato), scoperto nel 1908 da Paolo Orsi a Piano Notaro (presso Gela) conteneva un corredo funebre costituito da un gran numero di ceramiche dello stile da cui ha preso il nome questa antica fase della civiltà del bronzo. Analoghi rinvenimenti nella grotta Zubbia di Palma Montechiaro, e nella grotta di Calafarina presso Pachino mostrano la diffusione di questo tipo di ceramica anche nella parte meridionale della Sicilia (province di Gela e di Agrigento). Altri reperti significativi di questa facies culturale sono stati rinvenuti a Sant’Ippolito (presso Caltagirone), a Trefontane (presso Paternò) e a Ossini (presso Militello). Insieme alla ceramica ( v. figura 4) sono stati trovati numerosi oggetti fittili: fuseruole (per la tessitura), pesi (di vario uso: per lo più da telaio) e cucchiai.
La ceramica di tipo buccheroide (vedi figura 5) decorata a striature verticali, praticate con la spatola, presenta una certa somiglianza con quella coeva delle Eolie e potrebbe derivare dalla ceramica tardo neolitica del bacino dell’Egeo.
b) Media età del rame: cultura di Serraferlicchio
A Serraferlicchio, nei pressi di Agrigento, all’interno di una grande spaccatura nella montagna, sono stati scoperti resti di capanne e una gran quantità di ceramiche decorate in uno stile che dà il nome a questa facies culturale. Si tratta di una ceramica dipinta in modo vivace; sul fondo lucido di un bel rosso vivo, a volte tendente al violaceo spiccano decorazioni geometriche di vario tipo: denti di lupo, fasci di linee, serpentine, bande reticolate ecc. (figura6). Una fase più tarda (ma sempre nell’ambito della media età del rame) è rappresentata da ceramica policroma, a bande nere orlate di bianco sempre su fondo rosso, che si trova nello stesso sito, ma in misura molto minore. E infine, una gran quantità di ceramica chiara, grezza, disadorna o al massimo decorata con cordoni o rari bitorzoli.
La ceramica di Serraferlicchio è stata rinvenuta in numerose stazioni dell’età del rame: a Realmese, presso Calascibetta, nel siracusano (grotte Chiusazza, Genovese e Palombara), a Paternò, e anche a Lipari. Un esemplare particolarmente interessante è il vaso scoperto dall’arheologa Marconi Bovio nella grotta del Vecchiuzzo a Petralia Sottana: qui le linee sottili, riunite in fasce, si incontrano a formare un grande angolo, motivo nuovo che si ritrova anche in un vaso di Capaci (unico esempio di ceramica di questo stile scoperto nella zona di Palermo, dominata dalla cultura della CONCA D’ORO) v. figura 7.
Anche questo tipo di ceramica sembra una derivazione del tardo neolitico egeo.
c) Tarda età del rame: la ceramica dello stile di Malpasso
Il sito da cui prende il nome questa facies culturale è Malpasso, presso Calascibetta, nel cuore della Sicilia: vi sono state rinvenute cinque tombe a grotticella artificiale di un tipo particolare e un corredo di ceramiche a superficie monocroma rossa.
Le tombe, scavate nel calcare ( che è una roccia relativamente “tenera”) non sono del consueto tipo “ a forno”: sono costituite da diverse camerette tra loro comunicanti e con il suolo “a gradini” dato il dislivello del terreno. La ceramica presenta forme nuove (figura 8) come il bicchiere semiovoide caratterizzato da una grande ansa a nastro con piastra sopraelevata: le analogie non vanno più ricercate nel tardo neolitico greco, bensì nella prima età del bronzo dell’Anatolia e delle isole dell’Egeo. Questo tipo di ceramica ha una vasta diffusione: dalla Chiusazza già citata alla grotta Ticchiara presso Agrigento, nella grotta Zubbia, a Sant’Angelo Muxaro, oltre che a Serraferlicchio, a Petralia Sottana e a Sant’Ippolito presso Caltagirone.
E’ proprio quest’ultimo sito – uno dei più importanti della preistoria siciliana – a dare il nome alla fase finale dell’età del rame (e allo stile della ceramica che la caratterizza) e a costituire un momento di transizione alla successiva età del bronzo.
La ceramica dello stile di Sant’Ippolito

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